lunedì 9 gennaio 2017

Introduzione al ciclo Sesso e Psiche (Le forme dell'amore)




Sono smarrito di fronte all'altro che vedo e tocco e del quale non so più che fare. E' già molto se ho conservato il ricordo vago di un certo al di là di quello che vedo e tocco, un al di là di cui so precisamente che è ciò di cui voglio impadronirmi. E' allora che mi faccio desiderio.
J.P. Sartre, L'essere e il nulla



Con questa breve affermazione, Sartre descrive sinteticamente la natura del desiderio sessuale: il suo volere andare oltre ciò che vede e tocca, cioè oltre il corpo verso un qualcosa che, per quanto resti imprendibile e inconoscibile, è l'unica cosa che si vuole veramente possedere. Inoltre, pone al centro della vita sessuale l'immaginazione, senza la quale l'atto sessuale rimane pura pulsione, scarica fisiologica, gioco tecnico. Il desiderio sessuale poggia sull'immaginazione come spinta essenziale a quell'andare oltre di cui si diceva prima. Ed è questo che distingue profondamente, nella scala degli esseri viventi, l'uomo dall'animale. Mentre con quest'ultimo condividiamo il codice istintuale, l'orologio biologico, l'ordine naturale, dall'altro ce ne discostiamo totalmente e sempre di più , in quanto esseri pensanti e culturali. La vita sessuale quindi, lungi dall'essere determinata dalle sue finalità biologiche, è nell'uomo un evento psichico determinato e influenzato da diversi fattori di ordine culturale, filosofico, religioso, antropologico ecc, continuamente attraversato da emozioni, sentimenti, memorie e fantasie che rendono l'esperienza sessuale enormemente complessa e diversificata.
Parlare di sesso è quindi accedere ad una dimensione segreta, individuale, immaginifica, libera, così come anche traumatica, inaccessibile, congelata di noi stessi che ,come dice Galimberti ne Le cose dell' amore , ci apre al precipizio e allo smarrimento. Perchè più che godimento dell'Io, esso è il suo perdersi. Non essendo un rapporto con l'altro, ma una relazione con l'altra parte di noi stessi.....la sessualità ha a che fare con quei limiti ontologici che sono per l'esistenza la nascita e la morte.
Chi non è disposto a perdere le dimore dell'io continua Galimberti, vive una sessualità epidermica, senza spessore, senza profondità ( vedremo questo nel film Shame). Nell'atto sessuale quindi si perpetua la ricerca di un altro/ve imprendibile, si assiste al cedimento della propria razionalità e del proprio controllo, e contemporaneamente alla morte di questo stesso altrove che la mente ha proiettato, costruito, immaginato nell'Altro. Perchè più che amare l'Altro per quello che è, noi amiamo ciò che con la sua materia costruiamo, la nostra idealizzazione, la nostra invenzione. Qualunque sia lo scenario in cui il desiderio sessuale prende forma, nella dimensione eterosessuale come in quella omosessuale, nella vita matrimoniale come in quella libera da ogni vincolo, nella continuità e nella occasionalità, la vita sessuale è sorretta dalla fantasia e dal desiderio di mettersi in gioco senza pudore per riconfigurare i propri limiti e, in definitiva, la propria identità. Più che mai oggi che l'emancipazione femminile e la tecnologia ha liberato la donna dagli obblighi riproduttivi e dai confini biologici dando a uomo e donna la possibilità di scegliere e di mutare quello che il genere ha loro assegnato, la sessualità ha acquisito ulteriori spinte attraverso un immaginario che la tecnica progetta e sostiene sempre più al di là del corpo stesso ( alludo al film Her).
Un altro aspetto dell' amore erotico è la sua assoluta irrazionalità e contraddittorietà :come dice Galimberti nella sua introduzione al Simposio di Platone ( dal quale nasce il suo Le cose dell'amore) esso è estraneo ad ogni logica. Eros gioca, ma il suo gioco non ha regole, e più avanti Nel gioco di Eros le mosse non rispondono ad un calcolo e non hanno un esito determinato....Eros decentra il sistema verso linee di fuga, dove si smarrisce il senso che l'ordine della ragione ha faticosamente accumulato. D'altra parte Eros è un dio e la sua follia è una follia divina. E come dice Platone nel Fedro tra i quattro stadi di follia divina (cioè quella in cui l'uomo è sotto l 'influsso di un dio ) quella di Eros e di Afrodite è la più eccelsa. Perchè continua il filosofo, La follia dal dio proveniente è assai più bella della saggezza di origine umana.
Si dice infatti che l'amore è una forma di possessione: esso è quello stato in cui la nostra ragione è predata dalla follia, dal desiderio di possedere l'altro, dalla inquietudine, dai tormenti della gelosia, dalla paura della perdita. E sesso che deriva da nesso nexus rappresenta la connessione tra la ragione che l'uomo ha costruito e la nostra parte più irrazionale.
Con questi presupposti ho scelto il profilo della sessualità che è una delle componenti fondamentali dell'amore, forse la più importante, in quanto rappresenta la pulsione istintuale che abita in ogni amore al di là delle sue vicissitudini.

Riferimenti bibliografici

Platone, Simposio  Tascabili Feltrinelli
U. Galimberti, Le cose dell'amore Feltrinelli


domenica 30 ottobre 2016

Incontrarsi in terapia


Un buon incontro, nella stanza della terapia, avviene fin dal primo momento. Quasi sempre anche prima: al telefono o via email, al primo contatto per fissare un appuntamento. La voce, la risposta ad una richiesta, sono già elementi che predispongono all'incontro vero e proprio. Ne rimangono le prime impressioni, le prime  informazioni.
Poi finalmente ci si vede. Ad accogliere la persona che ha chiesto l'incontro non è solo il terapeuta, ma lo spazio dove tutto ciò avviene. E' la stanza, i suoi colori, le sue luci, la sua atmosfera.
Adesso ci si incontra con lo sguardo, con la stretta di mano, con l'ascolto e l'attenzione. Così inizia il racconto.

Quasi sempre al primo incontro è possibile cogliere un certo imbarazzo, una lieve quota di ansietà: come cominciare, da dove cominciare? E' importante ogni cenno, ogni sorriso, ogni interpunzione per fare in modo che la narrazione inizi, non importa da quale punto della storia. Ma che inizi. Poi il suo svolgimento verrà gradualmente a scorrere, ad andare avanti e indietro o restare al presente, spesso a confondersi, a ingarbugliarsi. Saranno le domande che il terapeuta comincia a porre, il suo sottolineare qualche informazione, i suoi commenti. Ma soprattutto il clima che riesce a creare, la risonanza emotiva che riesce a trasmettere.

Nei primi incontri si consolida la conoscenza. Non solo del problema, ma delle reazioni, del linguaggio, delle modalità espressive che accompagnano il motivo del disagio vero e proprio , della capacità di comunicazione. Si comincia a delineare un quadro, a partire dalla cornice , poi lo sfondo, e fare emergere via via i tratti, le figure, i particolari, i colori, le sfumature. La stanza intorno assiste a questo particolare processo di conoscenza: lo avvolge, ne è parte integrante, testimone di una intimità sempre più profonda. Quello che viene definito setting è lo spazio, il tempo, la durata in cui quell'incontro avrà luogo.

Ma che relazione è quella terapeutica? Si dice che sia una relazione di aiuto. Ma non basterebbe un compagno, un amico, un padre? Perchè è così speciale? In realtà è una relazione complessa nella quale si intrecciano aspetti affettivi, emotivi, erotici, intellettuali che continuamente rimandano a ulteriori relazioni senza che queste ultime possano mai essere sostituite del tutto dalla prima: per quanto questi aspetti siano presenti e vivano nella stanza della terapia, tuttavia non si può essere del tutto amici, nè madri o figli, né padri o maestri, né innamorati o amanti. Eppure, come in una sequenza di specchi a tratti deformanti, in ogni relazione terapeutica si muove tutto questo. Ne è la linfa, il nutrimento, il motore.

E il terapeuta? Chi è questo mentore che ascolta, prende, sostiene, domanda, rielabora , restituisce? Di sé parla poco, quasi niente a volte, lasciando forse intendere di essere sapiente, perfetto, illuminato, arrivato. Arrivato dove? Come afferma Jung, nessuno può andare al di là di dove sia giunto esso stesso. E' difficile definire il suo ruolo. Ogni terapeuta porta in campo non solo la sua preparazione e le sue conoscenze, ma ancor di più la sua esperienza. Ognuno ha il suo modo per farlo, ognuno è lì con la sua personalità, il suo carattere, le sue ferite, i suoi travagli: il buon esito non è per nulla garantito. E' un lavoro lungo e faticoso che coinvolge entrambi. Così come lo stesso terapeuta può essere amabile e comprensivo per l'uno, per l'altro potrà essere arrogante e distruttivo. Dipenderà da cosa si cerca in lui. Dalle aspettative e dagli investimenti affettivi. Dall'intreccio di fattori intellettuali ed emozionali, dalla fiducia, dalle pretese, dalle illusioni. Sono questi gli aspetti che in terapia giocano un ruolo fondamentale, più ancora di quanto esplicitamente verbalizzato.
Essendo io una donna, sono stata vissuta molto spesso come una madre accogliente e benevola; altre volte come una madre fredda e distante. In entrambi i casi ero sempre io: ma se per l'uno ero il contenitore accogliente dove rifugiarsi, per l'altro ero lo specchio di esperienze passate, l'ombra di relazioni infelici. A volte sono stata confusa con un'amica, scambiata per una sorella, desiderata come un'amante.

Si, perchè poi c'è l'Eros. Ritengo che in ogni terapia una certa quota di eros sia indispensabile. Senza amore per la conoscenza, senza attrazione per il lavoro introspettivo, senza una buona dose di umana simpatia l'uno per l'altro, la terapia diventa luogo di esercitazione intellettualistica, senza spessore e senza anima. Non può esserci terapia se non c'è desiderio. Desiderio di cambiare prospettiva, di entrare nei territori sconosciuti di sé stessi, di mettersi in gioco e di confrontarsi con l'Altro. L'altro in sé, l'altro fuori da sé. Ciò che è veramente terapeutico nell'incontro tra uno psicoterapeuta e il paziente è la relazione stessa. Una relazione dove entrambi sono attori di un processo che non conoscono, e di cui faranno entrambi parte. Certo è necessario che il terapeuta abbia in sé la capacità di riconoscere ciò che sta accadendo, che abbia la competenza di sapere come muoversi. Ma inevitabilmente ne sarà coinvolto, senza che questo coinvolgimento travolga il setting, ma piuttosto lo sostenga, lo consolidi. Se il paziente prova dei sentimenti di qualunque natura verso il terapeuta è inevitabile che questi non soltanto li debba accettare, ma che debba sostenere le proprie reazioni, i sentimenti che in lui suscitano. Si chiama controtransfert e, come il transfert, è di fondamentale importanza per la relazione di cui stiamo parlando. A volte accade che questo accadimento emotivo vada oltre la terapia stessa. L'innamoramento tra paziente e terapeuta è un tema discusso e dibattuto. Della sua eventualità, ogni terapeuta è consapevole. E' a conoscenza anche della sua frequenza, molto maggiore di quanto si pensi. In una situazione intima come quella della stanza della terapia i sentimenti umani non possono certo essere sospesi, ma semmai amplificati. L'idealizzazione, la fantasia, l' immaginazione favoriscono l'attrazione, il desiderio di vicinanza anche sessuale.
E' la gestione di questi sentimenti che può essere produttiva per la terapia o, al contrario, determinarne la conclusione. E non sono solo le “regole” del setting che possono risolverne la complessità , ma la scelta cosciente e motivata del comportamento da seguire. C'è un'etica professionale che detta le norme da seguire, ma c'è la pressione del desiderio con la quale ogni terapeuta si troverà a combattere. La risoluzione del conflitto determinerà il destino della terapia che spesso in casi del genere volgerà al suo termine.

In altri casi è l'aggressività ad entrare in campo. Il terapeuta diventa oggetto di attacchi di ogni genere, di svalutazione o di ostilità manifesta. Quando le resistenze a mettersi in gioco sono pesanti, quando il cambiamento fa paura ostacolandolo in ogni modo, è facile proiettare sul terapeuta la rabbia per l'inefficacia della terapia, per l'incapacità a raggiungere gli obiettivi. Anche in questo caso il terapeuta è sottoposto alla carica delle reazioni emotive proprie ed altrui, sostenendole con il giusto distacco, interpretandone le motivazioni, senza che questo non comporti uno sforzo di non poco conto. E anche in questo caso , non è facile ricondurre i sentimenti ostili all'agire terapeutico, sostenendo l'inevitabile senso di frustrazione che gli stessi possono generare, senza che questi atteggiamenti determinino la conclusione del rapporto.

Ho voluto tratteggiare un po' quello che è il rapporto terapeutico, il suo delinearsi e il suo complicarsi. Vorrei concludere con un altro argomento anch'esso complesso: il suo termine.
Nel saggio Analisi terminabile o interminabile S. Freud afferma che un'analisi non si completa mai, ma che ad essa si può porre termine se ricorrono determinate condizioni. Ad esempio se certi obiettivi sono stati raggiunti, o se la persona sente che non può andare oltre, ma ha raggiunto quel certo grado di equilibrio che le consente di continuare da sola. In realtà ad un certo momento la figura stessa del terapeuta si interiorizza producendo nel paziente una funzione critica che lo aiuta ad andare avanti. 

"l'analisi deve determinare le condizioni psicologiche più favorevoli al funzionamento dell'Io" Freud cit.

Sono questi i casi “risolti” nel senso che, seppure incompleta (perchè l'analisi dell'inconscio è effettivamente interminabile), ha tuttavia raggiunto dei risultati soggettivamente auspicabili, fermo restando che una buona terapia continua ben oltre la conclusione degli incontri, ed è sempre possibile riprenderla in ulteriori momenti nei quali il supporto del terapeuta appaia necessario. Pertanto una buona terapia rimane nella memoria del paziente come parte integrante della propria storia. Altra cosa è la conclusione di una terapia dovuta alle resistenze irrisolte e alla decisione unilaterale del paziente che non intende più continuare gli incontri. Per quanto il terapeuta ha il compito di interpretare il contenuto delle resistenze che sono alla base di tale decisione, non può certamente violentare la libertà personale di chi non è più disposto a continuare il lavoro terapeutico. Alla base delle resistenze c'è sempre il rifiuto del cambiamento, l'attaccamento ai propri atteggiamenti, alle proprie convinzioni, in definitiva alla propria malattia. Sono questi i casi in cui una terapia non ha prodotto quella funzione trasformativa che è il fondamento di ogni relazione di cura.

Per concludere, tornando al tema di questa breve esposizione, la relazione terapeutica, pur nella diversità dovuta ai molteplici riferimenti teorici, è una relazione dalla cui complessità deriva il suo svolgimento, il suo fare, la sua finalità trasformativa, aggiungendo che la stessa modifica sempre entrambi i suoi protagonisti, perchè ha a che fare con i più profondi sentimenti umani.














venerdì 10 giugno 2016

IL LUOGO DELL'IDENTITA'

In tempi di gender fluid quello che alla nascita veniva assegnato come il primo presupposto di una identità certa, anche se tutta da realizzare, è oggi sottoposto a profonda revisione critica. L'identità di genere infatti non basta più a definire i ruoli sociali, nè l'Ordine sul quale la caratterizzazione sessuale poggiava per regolamentare le interazioni tra gli individui. Maschio o femmina definiva in modo preciso l'ambito dell'agire di ognuno, le attribuzioni di potere, la categorizzazione delle reciproche possibilità di affermazione. La frequente ( e antica) non coincidenza tra sesso biologico e identità percepita è stato nel passato problema e conflitto personale, spesso fonte di grande disagio esistenziale. Oggi lo stesso trova una nuova soluzione nel concetto di fluidità che, introdotto da Bauman a proposito della società moderna, ha finito per infiltrarsi in ogni aspetto della vita indicando la strada per svincolarsi dalle strettoie delle definizioni prestabilite, allargando lo spazio transversalmente in modo da accogliere quante più possibili divergenze e contraddizioni senza alterarne la forma complessiva. Maschio o femmina pertanto non sono più definizioni essenziali per delineare la fisionomia di un individuo, ma semmai a rintracciarne i tratti e le componenti, che possono pacificamente convivere o alternarsi o sovrapporsi senza che l'individualità ne risulti confusa. D'altra parte se l'identità era prima inscritta nel corpo e nei suoi caratteri facendo della distinzione maschile /femminile il principio dell'ordine attorno a cui si organizzavano le culture, oggi la cultura del narcisismo e della tecnica può rimodellare il corpo secondo le leggi del desiderio e non secondo quelle della natura. Se già ai tempi della civiltà ellenica temi transgender percorrevano il mito, la religione e l'arte dando largo spazio alla sessualità ermafroditca degli dei, topos della perfezione, archetipo della coincidenza oppositorum, oggi, nella generale liquefazione della società, dei generi, delle prescrizioni, anche le identità fluttuano tra le molteplici possibilità di autorappresentazione, non tanto per realizzare chi si è, né per raggiungere una ipotetica perfezione, quanto per adeguarsi alle esigenze del consumo e alla pluralità di aspettative, risorse, sfide che la società globale richiede. Pertanto anche l'identità sessuale può scambiarsi, giocarsi, viversi come un abito adatto per una certa occasione e non per un altra, come una scelta non condizionata dal dato biologico, ma dalla necessità di sperimentarsi senza limiti. Il rischio di questa libertà potrebbe essere quella di negare le differenze svalutando non tanto il genere , quanto gli aspetti simbolici legati al femminile e al maschile che, come ne I Ching, solo nella diifferenza e nella complementarietà possono arrivare a quella totalità su cui si fonda tutto il cosmo.


Riferimenti bibliografici:
C.G.Jung, Animus e Anima, Bollati Boringhieri
I Ching, Il libro dei mutamenti
Z. Bauman, Modernità liquida, Laterza


Pubblicato sulla rivista IN ESSE n.1

http://contanimare.blogspot.it/

giovedì 5 maggio 2016

Quando il corpo parla

Riflettendo sulla malattia


Nella visione psicosomatica ogni nostra esperienza si registra contemporaneamente o, in modo più preciso sincronicamente, nella mente e nel corpo. La contemporaneità risolve l'enigmatico salto postulato da Freud come causa ed effetto tra l'uno e l'altro piano, rintracciando nella unità fondamentale di psiche e soma la possibilità di esprimersi nei due registri in modo differente, ma nello stesso momento. Per fare un esempio ricorro alle emozioni: qualunque emozione, dalla gioia alla sorpresa, dal dolore alla paura, dall'attesa al disgusto, crea contemporaneamente una alterazione dello stato mentale e cognitivo di chi la prova, come anche una modificazione delle funzioni fisiologiche (frequenza del battito cardiaco, aumento della pressione del sangue, circolazione di sostanze biochimiche) tanto per partire da situazioni semplici e facilmente verificabili. Siamo soliti pensare che il nostro corpo sia un oggetto da noi posseduto, e non il soggetto fondamentale delle nostre azioni, pensieri, desideri. Eppure tutti sappiamo quanto si illumini il nostro sguardo nei momenti di gioia, e come tutta la nostra persona si incupisca quando sta attraversando un dolore. Senza volere fare un discorso romantico o da psicologia positiva molto di moda in questo periodo, voglio solo osservare come tutti i nostri stati d'animo, pensieri, angosce e patimenti si inscrivano nel corpo se si tratta di contenuti mentali, cosi come, viceversa , raggiungono la nostra mente e la nostra dimensione psichica quando partono da una esperienza corporea. Perchè stupirsi di fronte alla affermazione che tutto ciò che sperimentiamo avviene simultaneamente nel corpo e nell'anima, compresa la malattia, tutte le malattie. La malattia altro non è infatti che la manifestazione somatica di un disagio dell’individuo che così come viene vissuto emozionalmente e psichicamente, allo stesso tempo viene a registrarsi e ad esprimersi sul corpo. Del resto le correlazioni e interazioni tra depressione e malattie tumorali, tra sofferenze emotive e sindromi degenerative, tra ripetuti eventi stressanti e gravi patologie del sistema immunitario, tra prolungati stati di ansietà e malattie cardiovascolari sono ben note nella letteratura scientifica, ma vengono associate in senso generico e senza alcuna specificità. Aspetto invece fondamentale per capire come ognuna di queste patologie sia diversa in ogni individuo, così come la sua insorgenza, il suo decorso e il suo esito e, insieme, il suo significato, la sua funzione, la sua rappresentazione. Come dire che ognuno i questi vissuti si manifesta nel teatro interno ed esterno della persona che la vive, in modo assolutamente unico ed individuale. Non esiste la malattia, esiste il malato è il principio cardine dell'omeopatia. L’esperienza profonda della nostra vita , le nostre delusioni , perdite o fallimenti, plasmano i nostri pensieri e sentimenti, e si esprimono sotto forma di polmonite o di cancro non meno di quanto possa esprimersi in forma di nevrosi ossessiva o di isteria.
Quando uno stato ansioso si prolunga nel tempo scatena nell'organismo un disordine psico-fisico che produce gravi stati di malessere ad ogni livello , alterando le funzioni vitali e gli stessi organi che significativamente ne sono colpiti. Tutti i disordini patologici, cancro compreso, hanno la loro chiave di lettura nella psiche dell’individuo e in quello che sta vivendo o ha vissuto. Il sintomo va considerato pertanto come un richiamo inviatoci dal corpo per riportare la nostra attenzione verso quel determinato punto che ha interrotto e incrinato l'equilibrio della nostra unità psicofisica. Esso è un modo per ricondurre la coscienza dell'individuo alla consapevolezza del suo male, inteso in ogni senso e che, senza escludere i mezzi che la moderna medicina scientifica mette a disposizione, lo integra nella sua totalità con atteggiamento risoluto, orientandolo alla guarigione non vista solo come eliminazione del sintomo, ma come ricerca di una soluzione più adattiva al proprio disagio esistenziale. Non è una prospettiva nuova, né una demagogia della mente, ma una visione che, considerata già da Paracelso e da Pitagora nell'antichità, dona all'individuo la possibilità di farsi parte attiva della propria malattia, scegliendo il percorso di cura con lucidità e determinazione, piuttosto che subirlo. Si può vivere con la malattia come dimostrano tantissimi esempi, o per dirla con Oreste Speciani, di cancro si vive. Tutte le terapie, anche le più invasive, gli interventi chirurgici, e ogni altro mezzo offerto oggi dalla medicina necessita del sostegno, della capacità, della volontà dell'individuo a raggiungere gli scopi. Non è il pensiero magico che entra in azione, ma il desiderio di andare oltre se stessi, oltre il proprio dolore. Basta accettarlo, dialogare con esso senza rimuoverlo o esorcizzarlo, evitare che la sua presenza si diffonda anche dove non è necessario, viverlo senza lasciarsene distruggere, possederlo piuttosto che farsene possedere. Non è un mantra, ma una condizione dell'anima, uno stato entro il quale la vita di sempre assume altri contorni e nuovi connotati.