lunedì 21 gennaio 2013

Riflessioni sul Potere


Cosè il Potere e come definirlo?  Le definizioni sono innumerevoli , le analisi  molteplici: da Platone a Machiavelli, da Schopenhauer a Nietzsche ,  da Weber a Foucault, da Adler a Jung  la fenomenologia del potere ha sempre interessato gli studiosi di ogni tempo.  Mi piace partire  dalla descrizione che ne fa Hillman, :  In senso ampio – dice-  esso è una potenzialità. Non il fare, ma la capacità di fare.  Per quanto il concetto di Potere rimandi subito alla dimensione politico sociale nonché a quella religiosa, così come all’idea di gerarchia, dominio o supremazia,  nella sua forma più semplice il potere è una “possibilità” inerente l’essere soggettivo o collettivo nel suo agire. Ogni individuo quindi,  così come un gruppo, un’ organizzazione, una collettività sociale,  possiede il potere di fare, pensare,  essere:  è proprio a queste dimensioni  che voglio riferirmi. Se  riflettiamo attentamente,  il potere è insito in ogni cosa e manifestazione dell’essere, al di là dell’individuo: pensiamo al potere della Bellezza, o al potere dell’Amore come ancora quello della Parola, o della Verità.   Citando Hillman, esso spunta da ogni parte  :  è il contenuto più frequente di ogni nostro discorso o determinazione,  progetto o idea. Nella Bibbia , tra gli appellativi di  Dio  c’è quello di Potente anzi di Onnipotente. Ma parliamo anche del potere del Male, o del potere della Conoscenza. Insomma il potere è trasversale alla vita in senso collettivo, sociale,  individuale, ideologico, comunicazionale. Foucault  lo ritiene  “onnipresente” nei rapporti umani, nella comunicazione e nella informazione. In ogni relazione esiste un rapporto di potere, spesso immediatamente palese, altre volte più nascosto e mascherato.

L'analisi di  Foucault si sofferma su ciò che sta "in basso", nell'intenzione di  portare alla luce ciò che si nasconde sotto la superficie dei fenomeni. Egli esamina non il potere sovrano che si esercita dall'alto, ma i micropoteri che sono diffusi  a livello del quotidiano, gli effetti che il potere genera nella società, nelle forme della cultura e del sapere. L’individuo e la rete di rapporti entro cui è inserito è intriso dal potere dell’educazione, delle ideologie, dei condizionamenti e degli insegnamenti che lo fanno essere quello che è,  lo plasmano nei pensieri e nei comportamenti, nei desideri, nel corpo, nei bisogni; ogni soggetto è il prodotto di tutto ciò  con cui viene a contatto e dalle pratiche educative e disciplinari attraverso cui si fissano i principi fondamentali del come essere e del chi essere. Il Potere insomma permea la vita stessa degli individui e delle collettività. Più che mai nella società contemporanea siamo assoggettati al potere della scienza, della medicina, dell’evoluzione e della tecnologia.  Le sue forme e i suoi regimi, plasmano l’uomo e le società. In ognuna delle sue forme è  imprescindibile il concetto di subordinazione : che sia un’idea, o un concetto, un individuo o un gruppo di individui, c’è sempre un qualcosa che agisce “su” qualcos’altro, ed è in quel su che si sostanzia l’essenza del potere. Hillman rimanda inevitabilmente alla posizione di superiorità: c’è sempre un soggetto la cui azione si dirige  verso il basso, per ottenere il risultato che  vuole: ha in sé un movimento discendente.  

Ancora, il potere è connesso alla volontà di potenza per dirla con Nietszche  o al complesso di potenza richiamandomi a Jung.  In Tipi psicologici  quest’ultimo afferma:  Chiamo complesso di potenza l’insieme di tutte quelle rappresentazioni e di quelle aspirazioni che tendono a collocare l’Io al di sopra di altre influenze e a subordinare queste all’Io, sia che  tali influenze provengano da uomini e da situazioni, sia che esse provengano da impulsi, sentimenti e pensieri propri, soggettivi. L’espressione chiave in questo passo è ancora una volta quel “stare sopra” qualcun’ altro o qualcos’altro con modalità e strumenti differenti. Si può stare sopra con la violenza, la forza, la persuasione, la manipolazione, la sessualità, l’inganno: gli infiniti volti del potere  che ci sono abbastanza familiari, perché di queste sue espressioni è piena la storia di ogni tempo. Anche in senso psichico è possibile esercitare violenza su sé  stessi, subordinando  a quella parte che detiene la supremazia – l’Io cosciente  -  con la repressione o con la rimozione  le altre  parti di sé  che vorrebbero esprimersi e liberarsi. Perché supremazia o tirannia o assolutismo richiamano inevitabilmente il concetto di schiavitù, che sia psichico, sociale o politico. Richiamandomi al concetto freudiano del Super Io, tutta la nostra personalità è subordinata ai principi e alle leggi  che esso rappresenta, spesso con la coercizione patologica, e con l’assolutismo di un tiranno.

Nel ciclo che ho pensato sono  voluta  partire dal Potere nella  sua forma più primitiva,  per dirla ancora con Freud , quella agìta dalla parte  pulsionale  attraverso la forza e la prevaricazione sessuale, che nel noto film di Kubrick  si lega e si intreccia con quello della medicina e dei suoi mezzi  più repressivi e violenti.  Ho continuato a volerlo tracciare attraverso la relazione uomo-donna e nella tematica dell’Eros nei suoi aspetti sado- maso : la passione incoercibile tra vittima e carnefice nel contesto storico politico nazista che infine distrugge  entrambi. Continuando,  con il film di Almodovar , nella visione potentemente estetica di una tragedia personale non risolta, laddove si consuma il potere distruttivo della scienza e delle  nuove tecnologie che, se arbitrariamente utilizzate , diventano armi micidiali  al servizio di narcisistici  progetti personali. Con il Discorso del Re, arriviamo forse alla più beffarda anomalia che , in una figura di alto prestigio come quella di un sovrano, ne limita la potenza e ne impedisce la  gloria.  Ho voluto, attraverso questo percorso cinematografico, soffermarmi in particolare sui risvolti più inediti del potere , sulla sua faccia oscura, insistendo su quelle anomalie che sempre lo accompagnano , spesso spia di grandi fragilità psichiche e di grandi contraddizioni sociali.


Riferimenti bibliografici:
Il Potere, J.Hillman , Rizzoli 2002

sabato 5 gennaio 2013

La migliore offerta, G.Tornatore 2012


Nella stanza più segreta di una splendida dimora Virgil  coltiva la sua idea di donna attraverso una pregiata collezione di dipinti  famosi. Virgil Holdman è un collezionista e un battitore d’asta, abile a distinguere una copia da un originale, egli stesso tuttavia avvezzo a spingere astutamente  le offerte verso il  proprio piacimento ed interesse.  E’ innamorato dell’Arte, ma non ha mai amato una donna se non nella sua rappresentazione artistica.  I guanti che indossa  lo proteggono dal contatto con la realtà, evitando che questa possa lasciare impronte sulle opere che tratta, ma più ancora sui sentimenti. Simulazione e realtà si intrecciano da subito in questo affresco filosofico del regista siciliano sull’enigma della verità, sempre difficile da distinguere e decifrare. L’incontro con una donna “vera” condurrà il bisbetico Virgil,  suo malgrado,  ad una metamorfosi e ad una inaspettata revisione di sé stesso. Continuando a mettere insieme i pezzi di un misterioso ingranaggio,  dentro una lussuosa villa carica di oggetti e mobili antichi, la realtà del femminile prende voce, portando alla luce la curiosità e la vulnerabilità del protagonista finalmente attratto da una donna che tuttavia si nega alla vista e confonde la conoscenza. Il conflitto tra ciò che e’ e ciò che appare, tra ciò che appare e ciò che si nasconde, tormenta Virgil fino allo stremo, fino allo smarrimento e allo sbando esistenziale. Travolto dal desiderio di possedere ora l’oggetto di un nuovo appassionante amore, Virgil entra in contatto  con il suo essere più profondo, si dà a questo nuovo trascinamento dei sensi, abdica alla ragione che fino a quel momento lo aveva difeso e protetto. Come quasi sempre accade è nella sua stessa stanza segreta che Virgil troverà la verità.

Il  gioco della simulazione possiede tutto il film al di là della sua trama anche nel finale,  anch’esso sfuggente ed enigmatico, lasciando  allo spettatore la possibilità di trarne la  conclusione. La chiave di lettura con la quale il regista accompagna e sottintende la narrazione è nella frase più volte ripetuta: "In ogni falso si nasconde sempre qualcosa di autentico”. Se l’amore, come tutto il resto, può essere sede di inganno e di simulazione, alterazione dello sguardo, abbattimento dei confini tra sé e l’altro,  ugualmente non si può escludere l’autenticità della sua forza e del suo potere capace di  rivoluzionare la vita di chi lo segue. Chiunque ne sia toccato perde gli usuali punti di riferimento, rimane a ruotare dentro il suo vortice come Virgil  nelle ultime scene, ora ragione ora follia ora illusione, in attesa che il tempo possa chiarirne il significato.

Ma forse , l’archetipo più ambiguo ed  inquietante del film  è rappresentato dalla nana dietro la vetrina: sgorbia, immobile, a metà tra un essere vivente e un essere meccanico, testimone senza tempo che tutto osserva, immagine di una possibilità di conoscenza che supera i limiti e le barriere entro cui è costretta: l’unica forse a conoscere la verità.