martedì 23 aprile 2013

Al cinema come a una seduta psicoanalitica


Nella casa,  Francois Ozon  2012


 
La relazione insegnante-allievo, così come quella terapeuta paziente è il luogo entro cui si attivano profonde i-stanze interne, esplicitando in essa segreti aspetti del sé, ombre tacitate che nella dimensione educativa o terapeutica trovano spazio, respiro, svelamento.

Entrare nella casa-psiche dell’Altro è un movimento di penetrazione incestuosa sostenuto dal desiderio di conoscenza e di esplorazione delle proprie capacità e dei propri confini. Nessuno dei due può esimersi da questa “necessità” di esplorazione che attraverso l’altro lo conduce dentro sé stesso, a volte rimanendone intrappolato, con-fuso, non riconoscendo più chi è l’uno e chi è l’altro. In questo gioco di specchi e di manipolazione reciproca, il film apre allo spettatore una visione sempre più prospettica delle profondità dell’anima, le sue contorsioni, il suo continuo slittare tra realtà e immaginazione. Ognuno si appropria  di una parte dell’altro, realizzando attraverso l’altro quello cui non ha  saputo dare forma , approfittando dell’ occasione che la situazione offre per recuperare tempi perduti, possibilità sprecate : come Germain, il professore del film di Ozon , scrittore mancato,  e Claude, il sedicenne allievo della sua classe, che si distingue dagli altri per la originalità di quello che scrive,  raccontando nei particolari l’amicizia con un altro studente,  dentro la casa di quest’ultimo,  nella quale si insinua con morbosa curiosità. Nei suoi temi , il cui finale e sempre un “continua” come i racconti delle sedute psicoanalitiche , il giovane trascina la curiosità del professore e della propria moglie,  ognuno riconoscendo in esso elementi della propria storia in un quadro dove la realtà sfuma nella immaginazione, attraendo l’uno e l’altro nella seducente complicità della storia stessa. E’ così che ognuno prende qualcosa dall’altro per scrivere la “propria” storia  spingendosi più in là dei limiti che il contesto scolastico richiede, alimentando sospetti e allusioni fino al finale dove ognuno sarà costretto a tornare nella realtà ordinaria, non senza nuove ferite e fallimenti.

Come in una seduta psicoanalitica, il rapporto tra allievo e maestro, tra narratore e ascoltatore,  tra regista e spettatore , diventa  un legame che, sollecitato dalle parole, trasforma la fantasia in realtà, i desideri in fatti, riconfermando che nella casa interna in cui abitiamo le immagini rappresentano la nostra verità. Bellissima la scena finale che chiude le porte sulla inafferrabilità di ciò che veramente accade dentro ogni casa  e sul rischio che , osservandola o ascoltandola,  ci si possa perdere.

 

sabato 6 aprile 2013

A proposito di "genitorialità"


 

Il figlio dell’altra. Lorraine Lévy 2012 

 

Cosa decreta l’identità personale?  L’ appartenenza a una famiglia è determinata dal sangue e da ciò che è depositato nel DNA di ognuno di noi,  o è il risultato dell’educazione ricevuta attraverso i legami affettivi, l’amore di cui si è stati oggetto, la condivisione della quotidianità? E, soprattutto, che vuol dire essere genitori ? Sono queste le domande che il  film pone e a cui sembra dare risposte, evidenziando in modo netto la differenza dei valori- natura propri ad ogni madre  e dei valori - cultura che sostanziano l’essere padre, soffermandosi sulle reazioni dei figli di fronte alla verità della propria origine, sulla con-fusione emotiva che alcune rivelazioni  suscitano nel sistema famiglia . Se questi interrogativi sono poi ulteriormente complicati dal conflitto sociale del luogo in cui si vive,  israeliani e palestinesi nel caso specifico, ancora di più il tema  si riempie di contenuti emozionali,  mostrando come anche i sentimenti più solidi siano messi alla prova dalla banalità dell’ errore umano e delle sua drammatiche  conseguenze. Di fronte ad esperienze come quella narrata dalla regista francese , anche i più intensi legami  inevitabilmente vacillano, si ritraggono, si oscurano nel dubbio e nella diffidenza. Si mette a nudo l’Ombra della psiche individuale, le gelosie, le rivalse.

Intorno al muro che divide Israele dalla Palestina la regista ci racconta  non  una storia politica ma una storia umana , l’una nel riverbero dell’altra,  toccando i punti salienti del difficile rapporto genitori-figli  nel momento in cui questi ultimi,  poco più che adolescenti,  sono alle prese con la formazione di sé stessi, con l’ambivalente  necessità di poggiare su una base affettiva stabile, sulla conferma che dall’Altro proviene. Il film mostra in particolare come una rivelazione inattesa  generi smarrimento più nei padri che nelle madri, mettendo in luce la capacità delle donne di farsi ventre anche del figlio che non hanno nutrito, di aprirsi alla  tenerezza di fronte a chiunque ne abbia bisogno, sia  nato dal  proprio corpo o dal corpo di un’altra donna, nutrice sempre , sempre capace di nuovo adattamento.

Al contrario , la regista mette a nudo la difficoltà del padre, il  rapporto  culturale che ha con il figlio, legato più al fare  che  all’essere , dominato in fondo della diffidenza verso la donna-madre , più incerto e confuso di quest’ultima sulla autenticità dei propri sentimenti. Dopo la prima destabilizzante notizia , Leila e Orith,  le due madri protagoniste non esitano a riconfermare il loro amore ai figli che hanno allevato pur non essendo quelli che hanno partorito, senza  disconoscere il richiamo del corpo , ma  anche capaci di resistervi.

Un film che indaga sulle differenze di genere, sul maschile e femminile,  ancora prima della differenza dei ruoli genitoriali. Significativa la reazione del fratello di Yacine uno dei due ragazzi coinvolti nello “scambio” di culle: l’improvvisa esplosione della rabbia etnica  che trasforma il fratello in nemico. Nel rigetto, nella negazione dei sentimenti in nome di una cultura religiosa estremista, ferito nella  hubris personale , il giovane confonde i principi con la realtà, le leggi degli uomini con quelle della natura,  ancora una volta palesando la grande differenza delle reazioni maschili  rispetto a quelle femminili, come quelle delle sorelle, vere piccole donne, capaci fin dall’inizio di accettare i cambiamenti senza ostilità, preoccupate più di ogni altra cosa di perdere la presenza di Yacine l’una,  o di  Joseph  l’altra.

Per concludere , la riflessione del film sembra girare intorno alle parole di Zoja nel suo famoso saggio  “Il gesto di Ettore” quando, riferendosi al mondo animale, scrive:“Insomma, le madri non possono permettersi di non essere buone madri; i maschi invece possono permettersi addirittura di non essere padri”.

Affermazione che attribuisce alle donne  la dimensione della stabilità affettiva e dell’etica familiare che in ogni contesto socio politico le caratterizza.