martedì 29 ottobre 2013

Il rapporto mente-corpo in una visione psicosomatica


Dall’antico  mens sana in corpore sano il rapporto mente corpo è stato indagato in modo diverso nel corso dei secoli, ma sempre occupando un posto di rilievo tra filosofia , medicina e psicologia. Occuparsi dell’uno non può prescindere dall’altro, considerato che il corpo è vivo proprio  in virtù dell’ essere abitato da una mente o meglio  da  una psiche o anima, spirito, sostanza sottile e immateriale densa di energia, forza, vitalità. Il termine psiche coincide infatti con il principio primo  della filosofia della natura:  il soffio vitale ,  senza il quale la materia è  sostanza inerte e priva di vita. Da questo inizio semplicistico ed elementare , ma non privo di valore e di importanza,  la storia della filosofia  ha sempre ruotato intorno alla correlazione tra la mente e il corpo nel tentativo di risolvere i numerosi interrogativi che questa pone,  muovendosi attorno a due filoni fondamentali: il monismo e i dualismo. Il primo cerca di risolvere il problema affermando che la mente e il corpo sono aspetti differenti di un’unica realtà; il secondo invece, si fonda sulla loro sostanziale diversità,   trattandoli pertanto separatamente. Senza volere riprendere il percorso tortuoso che il pensiero filosofico ha percorso su questo tema, è utile considerare quanto lo stesso abbia influenzato lo sviluppo della medicina scientifica soprattutto nella sua derivazione cartesiana, dualistica e scissa,  sempre più allontanandosi da quel tentativo di integrazione che la filosofia greca aveva cercato di compiere attorno al concetto di equilibrio ed armonia. Di questa concezione fondata sull’integrazione e sull’armonia delle parti  qualcosa ancora sopravvive nella attuale visione olistica di alcune teorie psicosomatiche , anche se il termine stesso psicosomatica induce ancora a mantenere intatta la dicotomia  tra la psiche e il soma e, in conseguenza,  a riproporre la domanda del come possa avvenire  quel misterioso salto dalla mente al corpo. Se pensiamo invece che la nostra unità fondamentale non è la somma delle parti ( organi, sintomi, idee, comportamenti ecc.) ma l’integrazione complessa  di tutto quello che noi siamo, sentiamo, pensiamo, soffriamo, senza distinzione tra ciò che avviene sul piano mentale e quello corporeo, potremmo riuscire a vedere in ogni manifestazione del nostro essere  un modo per esprimerci.
In questa prospettiva anche le nostre malattie non sono più  espressione  di un organo malato,  ma la manifestazione di un disagio esistenziale che attraverso quell’organo simbolicamente si esprime.
Il superamento della visione frammentaria e dicotomica comporta pertanto una revisione totale della medicina intesa come arte che cura non una parte del nostro corpo o di un suo  sistema -cardiovascolare, respiratorio, osteoarticolare, ecc. ma di un insieme unitario abitato da una vis e un dinamismo che attraverso la malattia  segnala uno squilibrio o una frattura o un’interruzione della propria energia vitale , la cui origine può essere rintracciabile sia sul piano corporeo che su sul piano mentale.
Nella mia  esperienza ospedaliera , durante la quale mi sono occupata di malattie diverse, di traumi, di fratture, infezioni ecc. non ho mai tenuto distinte le due sfere per la semplice ragione che la sofferenza che mi si palesava davanti era sempre il risultato di un insulto all’individuo nella sua totalità, quale che fosse la causa da cui nasceva. In questo senso la mia visione della salute e della malattia fa capo al concetto di un Sé psicosomatico entro cui si compendia la storia di quel singolo uomo, unico e indivisibile, della sua storia e della sua esperienza. La malattia esprime con linguaggio analogico e metaforico ciò che l’individuo nel profondo sta vivendo , spesso al di fuori della propria coscienza , anzi proprio per questo “somatizzato”:  unico modo per rappresentarlo a sé stesso e agli altri.
Il corpo – dice Merleau Ponty – è eminentemente uno spazio espressivo.”
Da questa affermazione nasce il principio fondamentale del discorso psicosomatico secondo il quale noi non abbiamo un corpo, ma siamo il nostro corpo. Ancora Merleau Ponty riassume il corpo come “questo strano oggetto che utilizza le sue proprie parti come simboli generali del mondo e per il quale noi possiamo  frequentare questo mondo, comprenderlo e trovarvi un significato.”
In questa prospettiva la relazione mente-corpo non è più vista in una dimensione di causa-effetto, ma di sincronicità, ossia una relazione a-casuale tra piani di realtà diversi  connessi da un  significato simbolico.   La malattia rivela quindi all’individuo,   in  quel dato momento della sua vita,  ciò che la coscienza non è riuscita ad assimilare o ha rifiutato, proiettando sul piano somatico problematiche inconsce o irrisolte che finalmente può elaborare ed  integrare.
Sono molti i modelli psicosomatici cui attualmente ci si riferisce, ma il termine è ancora utilizzato in modo improprio, spesso per banalizzare il disagio in questione o per sostenere affermazioni generiche e prive di  adeguato significato: mi riferisco alle supposte somatizzazioni di ansie, stress e simili di cui si fa abuso negli studi medici, ma che nulla dicono della individualità del soggetto cui si rivolgono.  In realtà non esiste una malattia psicosomatica come tale , perché tutte le malattie lo sono, senza distinzione di acuta  o cronica,  nella misura in cui consideriamo l’individuo nella sua interezza psicofisica dove  tutte le funzioni sono armonicamente correlate, compresa la psiche e le sue rappresentazioni.

 
Bibliografia:
AAVV "Verso la concezione di un sé psicosomatico" Edizioni Cortina Milano
Merleau Ponty "Il visibile e l'invisibile" Bonpiani editore 
F. Deutsch "Il misterioso salto dalla mente al corpo" Martinelli editore