Dall’antico mens sana in corpore sano il rapporto
mente corpo è stato indagato in modo diverso nel corso dei secoli, ma sempre
occupando un posto di rilievo tra filosofia , medicina e psicologia. Occuparsi
dell’uno non può prescindere dall’altro, considerato che il corpo è vivo
proprio in virtù dell’ essere abitato da una mente o meglio da una psiche
o anima, spirito, sostanza sottile e immateriale densa di energia, forza,
vitalità. Il termine psiche
coincide infatti con il principio primo
della filosofia della natura: il soffio vitale , senza il quale la materia è sostanza inerte e priva di vita. Da questo
inizio semplicistico ed elementare , ma non privo di valore e di
importanza, la storia della
filosofia ha sempre ruotato intorno alla
correlazione tra la mente e il corpo nel tentativo di risolvere i numerosi
interrogativi che questa pone,
muovendosi attorno a due filoni fondamentali: il monismo e i dualismo.
Il primo cerca di risolvere il problema affermando che la mente e il corpo sono
aspetti differenti di un’unica realtà; il secondo invece, si fonda sulla loro
sostanziale diversità, trattandoli pertanto separatamente. Senza
volere riprendere il percorso tortuoso che il pensiero filosofico ha percorso
su questo tema, è utile considerare quanto lo stesso abbia influenzato lo
sviluppo della medicina scientifica soprattutto nella sua derivazione
cartesiana, dualistica e scissa, sempre
più allontanandosi da quel tentativo di integrazione che la filosofia greca
aveva cercato di compiere attorno al concetto di equilibrio ed armonia. Di
questa concezione fondata sull’integrazione e sull’armonia delle parti qualcosa ancora sopravvive nella attuale
visione olistica di alcune teorie psicosomatiche , anche se il termine stesso
psicosomatica induce ancora a mantenere intatta la dicotomia tra la psiche e il soma e, in conseguenza, a riproporre la domanda del come possa
avvenire quel misterioso salto dalla mente al corpo. Se pensiamo invece che la
nostra unità fondamentale non è la somma delle parti ( organi, sintomi, idee, comportamenti
ecc.) ma l’integrazione complessa di
tutto quello che noi siamo, sentiamo, pensiamo, soffriamo, senza distinzione
tra ciò che avviene sul piano mentale e quello corporeo, potremmo riuscire a
vedere in ogni manifestazione del nostro essere
un modo per esprimerci.
In questa prospettiva anche le nostre malattie non sono
più espressione di un organo malato, ma la manifestazione di un disagio
esistenziale che attraverso quell’organo simbolicamente si esprime.
Il superamento della visione frammentaria e dicotomica
comporta pertanto una revisione totale della medicina intesa come arte che cura non una parte del nostro
corpo o di un suo sistema -cardiovascolare,
respiratorio, osteoarticolare, ecc. ma di un insieme unitario abitato da una vis e un dinamismo che attraverso la
malattia segnala uno squilibrio o una
frattura o un’interruzione della propria energia vitale , la cui origine può
essere rintracciabile sia sul piano corporeo che su sul piano mentale.
Nella
mia esperienza ospedaliera , durante la
quale mi sono occupata di malattie diverse, di traumi, di fratture, infezioni
ecc. non ho mai tenuto distinte le due sfere per la semplice ragione che la
sofferenza che mi si palesava davanti era sempre il risultato di un insulto
all’individuo nella sua totalità, quale che fosse la causa da cui nasceva. In
questo senso la mia visione della salute e della malattia fa capo al concetto
di un Sé psicosomatico entro cui si
compendia la storia di quel singolo uomo, unico e indivisibile, della sua
storia e della sua esperienza. La malattia esprime con linguaggio analogico e
metaforico ciò che l’individuo nel profondo sta vivendo , spesso al di fuori
della propria coscienza , anzi proprio per questo “somatizzato”: unico modo per rappresentarlo a sé stesso e
agli altri.
“Il corpo – dice Merleau Ponty – è eminentemente uno spazio espressivo.”
Da
questa affermazione nasce il principio fondamentale del discorso psicosomatico
secondo il quale noi non abbiamo un
corpo, ma siamo il nostro corpo. Ancora Merleau Ponty riassume il corpo
come “questo strano oggetto che utilizza
le sue proprie parti come simboli generali del mondo e per il quale noi possiamo
frequentare questo mondo, comprenderlo e
trovarvi un significato.”
In
questa prospettiva la relazione mente-corpo non è più vista in una dimensione
di causa-effetto, ma di sincronicità,
ossia una relazione a-casuale tra piani di realtà diversi connessi da un significato simbolico. La malattia rivela quindi all’individuo, in
quel dato momento della sua vita, ciò che la coscienza non è riuscita ad
assimilare o ha rifiutato, proiettando sul piano somatico problematiche
inconsce o irrisolte che finalmente può elaborare ed integrare.
Sono
molti i modelli psicosomatici cui attualmente ci si riferisce, ma il termine è
ancora utilizzato in modo improprio, spesso per banalizzare il disagio in
questione o per sostenere affermazioni generiche e prive di adeguato significato: mi riferisco alle
supposte somatizzazioni di ansie, stress e simili di cui si fa abuso negli
studi medici, ma che nulla dicono della individualità del soggetto cui si
rivolgono. In realtà non esiste una
malattia psicosomatica come tale , perché tutte le malattie lo sono, senza
distinzione di acuta o cronica, nella misura in cui consideriamo l’individuo
nella sua interezza psicofisica dove tutte le funzioni sono armonicamente
correlate, compresa la psiche e le sue rappresentazioni.
Bibliografia:
AAVV "Verso la concezione di un sé psicosomatico" Edizioni Cortina Milano
Merleau Ponty "Il visibile e l'invisibile" Bonpiani editore
F. Deutsch "Il misterioso salto dalla mente al corpo" Martinelli editore