Non
e’ un film musicale come in alcuni casi e’ stato definito ma, traducendo il titolo, una sferzante frustrata
alle emozioni, una straordinaria analisi
della relazione maestro-allievo, nel contesto di uno dei piu’ prestigiosi licei
musicali di New York. Lui, il maestro,
e’ Fletcher , conosciuto e temuto insegnante,
la cui fama e’ legata non solo alle proprie capacita’ di formazione alla musica ma, soprattutto, ai suoi inflessibili
metodi di insegnamento, spinti fino ai limiti della prevaricazione sadica, pur
di esaltare al massimo grado il talento di chi lo possiede. L’altro e’ Andrew, giovane batterista talentuoso ed
ambizioso, abbandonato dalla madre in tenera eta’, ed intenzionato a diventare
un grande nella storia del jazz. L’incontro non poteva che essere fatale per
entrambi, perche’ nel rapporto che tra di essi si instaura, si proietteranno le
reciproche ferite: quelle relative alla impossibilita’ di indulgere su se’
stessi e sull’altro, pur di raggiungere l’obiettivo finale. Su questa sfida,
entrambi rinunciano consapevolmente ad ogni altra dimensione, affettiva,
emozionale, in quanto incompatibile con
la prima. Andrew sacrifichera’ il nascente amore verso
una giovane donna alla quale non potrebbe dedicare le attenzioni necessarie.
L’altro sacrifichera’ la propria reputazione pur di non rinunciare ai propri
intransigenti principi . Una relazione
che potrebbe essere considerata banale se non si ha a che fare con quel grado
di simmetrica ferocia cui il film ci fa
assistere . Nello scontro nessuno risparmia all’altro scacchi ed umiliazioni,
cui Andrew si sottopone con orgoglio sfidando se’ stesso oltre ogni limite. Flechter, dal canto suo, utilizzera’ tutte le piu’sottili
abilita’ manipolative per vendicarsi e distruggerlo. Tra i due si inserisce la
figura del padre di Andrew: unica figura che porta in scena la dimensione
emozionale, la tenerezza e la preoccupazione per una lotta che sembra averne rigettato l’esistenza, ma
che non potra’ in alcun modo
interrompere. Alla fine di una tensione
indicibile, cui lo spettatore prendera’
parte con crescente angoscia, i duellanti riusciranno a
dimostrare che la sfida valeva la pena e che entrambi saranno stati capaci di raggiungere cio’che cercavano.
domenica 22 febbraio 2015
domenica 1 febbraio 2015
Il film della settimana
L’archetipo materno ha a che fare con il seno che
nutre, con l’immagine dell’allattamento. E’ un tutt’uno con la sua funzione
nutritiva che inizia dentro il grembo e che si inscrive nel corpo anche dopo la
nascita. Una madre che non nutre e’ quindi un ossimoro,
il simbolo del seno cattivo, che toglie e non da’. Negando al figlio l’appagamento
del piu’ arcaico degli istinti, nega a
lui il sorriso. Negandogli la relazione
con il mondo, lo stringe in un abbraccio soffocante. E’ quello che accade nel film di Saverio Costanzo.
Mina e’ convinta di avere in grembo un bambino speciale. Oh!…tutte le madri
immaginano questo in qualche modo, e
questa convinzione sostiene le cure particolari che a lui dedicano,
nutrendo il corpo del piccolo di cibo e carezze, per renderlo forte e
soddisfare il proprio narcisistico desiderio. Non cosi’ per Mina che, al
contrario, sviluppa l’idea che il cibo possa contaminare la purezza del figlio,
come anche ogni contatto con l’esterno,
con l’aria inquinata del mondo, con la troppa luce. Nel buio di questa
convinzione, si rifiuta di nutrire se stessa e il suo bimbo. Allontana ogni
forma di relazione sociale, si
imprigiona in un rapporto morboso ed esclusivo, dove l’Altro e’ sempre minaccia, estraneo, nemico.
Certo, anche il padre. Nella diade simbiotica madre-figlio, il padre e’ sempre
l’intruso, colui che interrompe l’unita’ originaria con le regole e i compiti
che sono propri alla sua funzione. E’
quello che cerca di fare anche Jude, quando si rende conto che non puo’continuare
a condividere con l’amata Mina uno stile alimentare che sta diventando
assassino. Jude si ribella, non puo’ sopportare il pianto del suo bambino che
ha fame. Tra i due si rompe il patto di fiducia reciproca, ognuno guarda
l’altro come chi sta distruggendo la propria creatura. Jude porta il figlio dai
medici, lo nutre di nascosto, lo sottrae con ogni strategia alla possessivita’
materna, infine lo rapisce pur di
salvarlo. Diviso tra l’amore per Mina e la vita del figlio, chiede aiuto a
un’altra madre. A sua madre. E’ un’alleanza
difficile quella che stringe con lei: ambivalente, ma necessaria. E benche’
Mina sia costretta a subire un provvedimento estremo, anche con il sostegno
legale, non puo’ certo derogare passivamente il suo compito materno a un’altra
madre. La relazione si complica: le due si odiano. Jude , al centro, si dibatte
in un conflitto devastante che produrra’ le sue conseguenze solo alla fine,
nella piu’ irreversibile delle soluzioni.
Il film mette in scena una grave nevrosi ossessiva
individuale sullo sfondo di una sempre piu’ diffusa ossessione collettiva. Pur
non trattandola direttamente il regista utilizza in modo quasi subliminale
questa realta’. Nella metropoli
tecnologica nella quale i protagonisti vivono, l’uso di cellulari , sonde
elettromagnetiche, calcoli computerizzati, rientrano nella quotidiana
normalita’ , cosi’ come le diverse scelte
alimentari che ogni individuo puo’ compiere. Le cose si complicano quando il
mito del ritorno alle origini diventa il drastico rigetto di ogni forma di
modernita’ con tutte le conseguenze che possono fare degenerare il rapporto di
appartenenza al proprio mondo e al proprio tempo. E’ quello che accade a Mina,
nel tentativo di mantenere intatta la purezza del suo bambino, ma anche a quei
molti che vedono nell’alimentazione un rischio enorme per la loro salute
rinunciando ad ogni forma di piacere e di convivialita’, e con questi alla relazione con il mondo e
con la vita.
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