domenica 22 febbraio 2015

Whiplash (Frustrata) , Damien Chazelle 2014


Non e’ un film musicale come in alcuni casi e’ stato definito ma,  traducendo il titolo, una sferzante frustrata alle emozioni, una  straordinaria analisi della relazione maestro-allievo, nel contesto di uno dei piu’ prestigiosi licei musicali di New York.  Lui, il maestro, e’ Fletcher , conosciuto e temuto insegnante, la cui fama e’ legata non solo alle proprie capacita’ di formazione alla musica ma, soprattutto, ai suoi inflessibili metodi di insegnamento, spinti fino ai limiti della prevaricazione sadica, pur di esaltare al massimo grado il talento di chi lo possiede. L’altro e’ Andrew, giovane batterista talentuoso ed ambizioso, abbandonato dalla madre in tenera eta’, ed intenzionato a diventare un grande nella storia del jazz. L’incontro non poteva che essere fatale per entrambi, perche’ nel rapporto che tra di essi si instaura, si proietteranno le reciproche ferite: quelle relative alla impossibilita’ di indulgere su se’ stessi e sull’altro, pur di raggiungere l’obiettivo finale. Su questa sfida, entrambi rinunciano consapevolmente ad ogni altra dimensione, affettiva, emozionale,  in quanto incompatibile con la prima.   Andrew sacrifichera’ il nascente amore verso una giovane donna alla quale non  potrebbe dedicare le attenzioni necessarie. L’altro sacrifichera’ la propria reputazione pur di non rinunciare ai propri intransigenti  principi . Una relazione che potrebbe essere considerata banale se non si ha a che fare con quel grado di simmetrica  ferocia cui il film ci fa assistere . Nello scontro nessuno risparmia all’altro scacchi ed umiliazioni, cui Andrew si sottopone con orgoglio sfidando se’ stesso oltre ogni limite.  Flechter, dal canto suo, utilizzera’ tutte le piu’sottili abilita’ manipolative per vendicarsi e distruggerlo. Tra i due si inserisce la figura del padre di Andrew: unica figura che porta in scena la dimensione emozionale, la tenerezza e la preoccupazione per una lotta  che sembra averne rigettato l’esistenza, ma che non potra’  in alcun modo interrompere.  Alla fine di una tensione indicibile,  cui lo spettatore prendera’ parte con crescente angoscia,  i duellanti riusciranno a dimostrare che la sfida valeva la pena e che entrambi saranno stati capaci di  raggiungere cio’che cercavano.

domenica 1 febbraio 2015

Il film della settimana



L’archetipo materno ha a che fare con il seno che nutre, con l’immagine dell’allattamento. E’ un tutt’uno con la sua funzione nutritiva che inizia dentro il grembo e che si inscrive nel corpo anche dopo la nascita.  Una madre che non nutre e’ quindi  un ossimoro,  il simbolo del seno cattivo, che toglie e non da’. Negando al figlio l’appagamento del piu’ arcaico degli istinti,  nega a lui  il sorriso. Negandogli la   relazione con il mondo, lo stringe in un abbraccio soffocante.  E’ quello che accade nel film di Saverio Costanzo. Mina e’ convinta di avere in grembo un bambino speciale. Oh!…tutte le madri immaginano questo in qualche modo, e  questa convinzione sostiene le cure particolari che a lui dedicano, nutrendo il corpo del piccolo di cibo e carezze, per renderlo forte e soddisfare il proprio narcisistico desiderio. Non cosi’ per Mina che, al contrario, sviluppa l’idea che il cibo possa contaminare la purezza del figlio, come anche  ogni contatto con l’esterno, con l’aria inquinata del mondo, con la troppa luce. Nel buio di questa convinzione, si rifiuta di nutrire se stessa e il suo bimbo. Allontana ogni forma di relazione sociale,  si imprigiona in un rapporto morboso ed esclusivo,  dove l’Altro e’ sempre minaccia, estraneo, nemico. Certo, anche il padre. Nella diade simbiotica madre-figlio, il padre e’ sempre l’intruso, colui che interrompe l’unita’ originaria con le regole e i compiti che  sono propri alla sua funzione. E’ quello che cerca di fare anche Jude, quando si rende conto che non puo’continuare a condividere con l’amata Mina uno stile alimentare che sta diventando assassino. Jude si ribella, non puo’ sopportare il pianto del suo bambino che ha fame. Tra i due si rompe il patto di fiducia reciproca, ognuno guarda l’altro come chi sta distruggendo la propria creatura. Jude porta il figlio dai medici, lo nutre di nascosto, lo sottrae con ogni strategia alla possessivita’ materna, infine lo rapisce pur di salvarlo. Diviso tra l’amore per Mina e la vita del figlio, chiede aiuto a un’altra madre. A sua madre. E’ un’alleanza difficile quella che stringe con lei: ambivalente, ma necessaria. E benche’ Mina sia costretta a subire un provvedimento estremo, anche con il sostegno legale, non puo’ certo derogare passivamente il suo compito materno a un’altra madre. La relazione si complica: le due si odiano. Jude , al centro, si dibatte in un conflitto devastante che produrra’ le sue conseguenze solo alla fine, nella piu’ irreversibile delle soluzioni. 
 

Il film mette in scena una grave nevrosi ossessiva individuale sullo sfondo di una sempre piu’ diffusa ossessione collettiva. Pur non trattandola direttamente il regista utilizza in modo quasi subliminale questa realta’.  Nella metropoli tecnologica nella quale i protagonisti vivono, l’uso di cellulari , sonde elettromagnetiche, calcoli computerizzati, rientrano nella quotidiana normalita’ , cosi’ come le  diverse scelte alimentari che ogni individuo puo’ compiere. Le cose si complicano quando il mito del ritorno alle origini diventa il drastico rigetto di ogni forma di modernita’ con tutte le conseguenze che possono fare degenerare il rapporto di appartenenza al proprio mondo e al proprio tempo. E’ quello che accade a Mina, nel tentativo di mantenere intatta la purezza del suo bambino, ma anche a quei molti che vedono nell’alimentazione un rischio enorme per la loro salute rinunciando ad ogni forma di piacere e di convivialita’,  e con questi alla relazione con il mondo e con la vita.