mercoledì 13 gennaio 2016

ATTACCAMENTO E SEPARAZIONE



Un bambino conoscerai
non ridere....
non ridere..... 

Lucio Battisti


C'è un puer aeternus nella nostra anima. Un bimbo che non accetta distacchi e separazioni. Un bimbo la cui dimensione è il SEMPRE.
Pensiamo un attimo al bambino che viene fuori dal ventre di sua madre: grida, piange, ha freddo. Deve respirare da solo. Ha fame.
Questa è l'immagine primaria della separazione. La Gestalt originaria di un evento che nella psiche si ripeterà cento, mille volte, in altre parole sempre o , quanto meno, tutte le volte in cui siamo costretti a separarci da ciò che ci dà piacere, sicurezza, protezione, calore, stabilità. In senso mitico, la caduta dall'Eden, la separazione dal tutto, dove tutto è contenuto e non esiste il vuoto, né la mancanza. Quel bimbo appena nato è costretto ad abituarsi alla pressione dei propri bisogni, delle proprie mancanze, ad abituarsi all'attesa, alla penìa, cominciando così il lungo percorso della crescita che altro non è che un continuo adattamento. Nella teoria evoluzionistica di Darwin chi non si adatta, chi non sostiene i cambiamenti perisce, muore. Perchè la vita è cambiamento, è necessità di abbandonare fasi superate, comportamenti inadeguati e sterili, trovare nuove soluzioni ai propri bisogni, rischiare, scommettersi. Ma tutto questo mette in moto in noi l'angoscia, la paura, la perdita di qualcosa o di qualcuno. Perchè se l'anima è l'archetipo della vita e della relazione, essa non fa che tessere legami, e i legami sono difficile a sciogliersi, anche quando sono malati.

In realtà c'è una cosa sola della quale si ha paura: del lasciarsi cadere, del passo incerto, del breve passo sopra tutte le assicurazioni esistenti H.Hesse

Nella casa dell'anima non ci si separa mai da nulla, tutto continua a vivere tra le stanze della nostra memoria e nulla muore. Questa contraddizione tra la necessità di adattarsi alla realtà e l'attaccamento interiore rende il processo di evoluzione particolarmente complesso, difficile e doloroso. La memoria della simbiosi originaria , il bimbo che non vuole rinunciare alla protezione e alla dipendenza, ostacola il viaggio dell'eroe che pure è presente dentro ognuno di noi ( Neumann). L' eroe rappresenta la coscienza egoica che per evolversi deve continuamente attraversare le resistenze dell'inconscio, liberarsi dall'abbraccio fusionale della madre ( nei sogni spesso rappresentati come attraversamenti nell'acqua, o passaggi difficili, o passare da un ponte all'altro) e sfidare le imposizioni sociali per potere accedere alla propria individualità. Staccarsi dagli stati precedenti, così come dalle pressioni del collettivo significa la perdita della propria sicurezza e andare incontro al rischio di essere ciò che si è. L'eroe è colui che nasce due volte, liberandosi dalla castrazione materna e dalla inconscietà da un lato, dall'altro uccidendo il padre cioè i valori sociali e i principi che esso rappresenta, per diventare un individuo (in-dividuo) unico e irripetibile che, riprendendo Lacan, sta con la Legge, non la subisce, ma la fa propria. Significa accedere alla dimensione del desiderio che non è l'appagamento immediato di un bisogno, che è ancora un residuo infantile, ma la costruzione di un progetto nel quale la perdita ha il suo senso e il suo valore. Si perde sempre qualcosa per trovare qualcosa di nuovo. Nella realtà psichica questo processo non è né lineare né definibile una volta per tutte, ma implica un lavoro costante, una fatica che si ripete ogni qual volta è necessaria una separazione. Mi riferisco soprattutto al ritrovamento di una nuova coscienza , che è il vero scopo dell'analisi e della psicoterapia, che significa superare e trascendere la limitatezza dei bisogni e della soddisfazione dell'Io, per accedere ad una coscienza più ampia. Ancora una volta significa abbandonare lo stato idilliaco dell' Eden, i rapporti simbiotici, le convinzioni idealistiche e illusorie , scendere in basso, per trovare l'alto.

"Nessun albero può crescere fino al paradiso se le sue radici non scendono fino all'inferno”. Jung
Questa fatica di crescere, verso l'alto da un alto ( pensiamo, nella scala evolutiva al passaggio alla verticalità), radicandosi nel profondo dall'altro, è di fatto l'opera che ci permette di sottrarci alla mera ripetizione dell'istinto per entrare nel mondo dei significati e del simbolo, costringendoci a trascenderci e a superarci , ma il cui costo è l'angoscia di morte, la consapevolezza del limite.
Molto spesso dobbiamo separarci da noi stessi, dall'immagine fissa nella nostra mente che non riesce a percepire chi siamo veramente, o chi siamo diventati. La difficoltà ad accettare la vecchiaia, l'abbandono, il tradimento. E' come se nella nostra mente ci fosse sempre la convinzione che nulla possa mutare mentre tutto invece muta continuamente.
Ci attacchiamo perfino alle nostre malattie. Se -come la concezione psicosomatica insegna - la malattia è linguaggio dell'anima per mezzo del corpo, se in essa si esplicita un mal-essere che si tende ad ignorare, il sintomo non è altro che la ripetizione di un messaggio che la coscienza non intende raccogliere, rappresentando metaforicamente lo stato di ripetizione e di attaccamento ad una situazione interna che l'individuo non vuole affrontare. Come attraverso i sogni ricorrenti , l'anima ci avverte che qualcosa deve essere riconosciuto e modificato se vogliamo guarire non dal sintomo, ma dalle ferite profonde e dal dolore del vivere.  


Relazione presentata al secondo incontro del ciclo: Che luogo è l'Anima? di ContAnimare