Riflessioni sull’odierna mutazione dell’archetipo del padre
Le mie riflessioni sull'archetipo del Padre, unitamente alle vicende psico-patico-politiche che animano il nostro paese, hanno ispirato l'articolo che segue.
“dietro
ogni singolo padre c’è l’immagine eterna del Padre” C.G.Jung, 1931
Da
alcuni decenni si parla dell’assenza del padre nella società moderna e delle
sue conseguenze negative non solo sul piano personale delle nuove generazioni ,
ma soprattutto, per la valenza simbolica che il concetto di Padre esercita sul piano collettivo.
L’archetipo del padre è portatore di aspetti indispensabili per lo sviluppo
culturale e sociale dell’individuo e della comunità, è il portatore dei valori
etici e dei principi fondamentali del vivere insieme , fondatore della
struttura familiare, sociale, universale. Basti pensare al gesto creatore del
Dio Padre, ordinatore del cielo e della terra, legislatore del cosmo nella
visione cristiana : attributi che fino all’inizio del novecento ogni uomo con questo ruolo replicava con
maggiore o minore impegno nel cosmo familiare senza mai metterli in discussione. La radicale
trasformazione che nel secolo scorso ha investito
la società occidentale, la secolarizzazione della cultura, la mutazione della
economia e il dissolvimento del sistema familiare, ha modificato sostanzialmente
i ruoli genitoriali con un’avanzata femminile che ha ridotto la forza dell’autorità paterna unitamente al
progressivo deterioramento della morale tradizionale. I padri quindi si sono
lentamente trasformati in mammi, in amici, in “papi”. Dalla figura temuta e
rispettata dei padri della mia generazione, i padri hanno assunto gradualmente
il volto consolatorio materno, il compagno di giochi, il complice di
trasgressive avventure, dispensatore di piacere piuttosto che di doveri. Se tra
i compiti fondamentali del padre c’era quello del mantenimento economico della
famiglia attraverso il lavoro, la diffusione del ruolo lavorativo anche per la
madre ha svalorizzato quel “ privilegio” maschile , ma ha certamente aggiunto
ricchezza al tenore familiare e consentito ai figli l’appagamento di maggiori
desideri . In questo senso il padre è divenuto nel tempo colui che può
soddisfare piaceri più grossi di quanto era consentito in passato. E’ evidente
che tutto questo non è possibilità di chiunque ma ne costituisce l’esempio, il modello comportamentale ideale da
raggiungere a tutti i costi. Anzi, è proprio nelle classi meno fortunate che il
modello del padre ricco, dispensatore di piaceri, dall’auto di lusso all’ultimo
modello di iphone, trova maggiore attecchimento, divenendo l’immagine
emblematica del benessere. Che poi il raggiungimento di tale condizione sia
guidato da principi discutibili e ottenuto attraverso condotte moralmente riprovevoli è
poco rilevante per una società nella quale il fine giustifica i mezzi e dove il denaro rappresenta lo scopo
essenziale dell’esistenza. In questo senso l’imago
di un padre lussurioso si contestualizza nel generale sistema di
“concupiscenza” che caratterizza la società odierna, i cui miti che la sostengono fanno
riferimento a modelli di uomini ricchi, potenti, famosi e di successo con le
donne. Il concetto stesso di
lussuria si è pertanto profondamente
modificato passando da vizio capitale a nuova virtù, da apprezzare ed imitare dando un volto totalmente diverso al
modello di padre : se questi infatti è stato considerato da sempre come colui che guida, che indirizza, che sostiene,
nella logica del piacere cui faccio riferimento non può che essere lussurioso. E’ chiaro il riferimento alle
ormai ripetitive vicissitudini politiche del nostro paese dalle quali emerge chiaramente
il modello vincente del padre-imprenditore, capace di fornire un esempio
improntato alla creazione di un sistema redditizio economicamente e vantaggioso per la propria identità
personale. Un padre che alimenta la bramosia del potere più che la
responsabilità delle proprie azioni, che si lascia lusingare dalle carezze di
chi lo segue: un leader che si rappresenta
come seduttivo e seducente attraverso le ricchezze che promette ai suoi
figli/membri sociali : il già noto “papi” . Il papi è amorevole con chi lo
corteggia, indulgente, sensibile alle richieste
di soddisfacimento di piccoli o
grandi desideri in quanto sollecitano la propria vanità e sono una conferma del
proprio potere. Se in altri tempi il padre era colui che esigeva dei limiti,
oggi è colui che li rimanda, li sposta e li supera. Non più il legislatore
all’interno di confini precisi, ma il vettore per il loro superamento. Del
resto, vuoi o non vuoi, puoi o non puoi, la società attuale non tollera limiti
al proprio espandersi, al dilagante impero del narcisismo personale, confortata
dalle possibilità tecnologiche dell’era globale ad ottenere gratificazioni,
seppure effimere, impensabili in precedenza. Oggi si pretende tutto. E si può avere tutto.
Basta comprarlo. Come già negli anni 70
E. Fromm evidenziava, “in una
cultura nella quale la meta suprema è l’avere – anzi l’avere sempre più – si direbbe che questa sia la vera essenza
dell’essere , e che se uno ha nulla, è
nulla” . In questo quadro è quanto mai facile l’escalation di leaders
che sull’avere fondano la propria
identità e che a tale risultato mettano al servizio il loro fare. Il fare, inteso sia in senso personale che politico, è oggi funzionale al desiderio di essere chi più ha , di possedere,
alimentando idoli e illusioni piuttosto che sollecitare lo sviluppo e la
realizzazione quasi sempre con fatica,
se non anche con la rinunzia, all’immediato
soddisfacimento.
Pertanto,
in un mondo dove il possibile non ha limiti umani, ma post-umani, la figura del
Padre -governatore si tratteggia come colui che invita a superarli con ogni mezzo. Non norme,
ma strategie, no principi ma presupposti. Se questa analisi, per quanto
parziale e imperfetta, aderisce in qualche misura al clima contemporaneo, una
ristrutturazione dell’archetipo del Padre non può riproporre il dio morto dei tempi che furono, ma
adoperarsi per ristabilire un contatto con i desideri di giustizia e di
solidarietà e di integrazione che oggi l’era globale richiede, senza toni moralistici o talora anacronistici,
destinati senz’altro al fallimento. Non
è un caso, a mio parere, che il ripristino della dignità morale perduta sia oggi
affidata ai “figli maggiori” : nella
perpetua dialettica tra il senex e il
puer, un giovane padre/adulto può forse meglio
essere in grado di mediare tra le
pulsioni del desiderio e la necessità di contenerle, orientando i propri fratelli in un mondo fondamentalmente nuovo che mai potrà tornare a
restaurare l’autorità indiscutibile del Padre Eterno, ma rappresentare un padre
capace di interpretare correttamente e responsabilmente il proprio tempo: flessibile ma non assente, integrando, nel rispetto della realtà, il principio di piacere così come il desiderio, decaduto nella modernità
a consumo indifferenziato e compulsivo. Perché
, come direbbe Lacan, il desiderio ha
bisogno della legge, di un limite al
suo libero e individualistico appagamento. E’ di questa legge che il padre deve
tornare a farsi garante e “guardiano” evitando di sollecitare , sia in senso
familiare che collettivo, l’immagine di un padre/papi amabile e disponibile da
sedurre per riceverne più doni e ricompense. Aspetto che , pur nella
differenza, produce conseguenze ugualmente dannose nel maschio e nella femmina,
configurandosi come un modello
fortemente sessualizzato , competitivo per il primo, incestuoso per l’ altra. E' quindi auspicabile che il nuovo
padre riprenda il governo delle proprie pulsioni, tornando a distinguersi dai
figli, per garantire la differenza e la discontinuità dello sviluppo senza la
quale la storia non sarebbe evoluzione, ma
sterile riproduzione del medesimo ordine, indifferenziato e fusionale.