venerdì 27 settembre 2013

La personalità borderline


Ecco la descrizione che ne dà wikipedia:

 “ Il disturbo borderline di personalità è caratterizzato da vissuto emozionale eccessivo e variabile, e da instabilità riguardante l’identità dell’individuo. Uno dei sintomi più tipici di questo disturbo è la paura dell’abbandono. I soggetti borderline tendono a soffrire di crolli della fiducia in sé stessi e dell’umore, ed allora a cadere in comportamenti autodistruttivi e distruttivi delle loro relazioni interpersonali.

Alcuni soggetti possono soffrire di momenti depressivi acuti anche estremamente brevi, ad esempio pochissime ore, ed alternare comportamenti normali. Si osserva talvolta in questi pazienti la tendenza all'oscillazione del giudizio tra polarità opposte, un pensiero cioè in "bianco o nero"….La caratteristica dei pazienti con disturbo borderline è, inoltre, una generale instabilità esistenziale.”


Secondo il DSM-IV, cinque e più delle caratteristiche sottoriportate bastano per poterne fare diagnosi:


  1. sforzi disperati di evitare un reale o immaginario abbandono;

  2. un quadro di relazioni interpersonali instabili e intense, caratterizzate dall’alternanza tra gli estremi di iperidealizzazione e svalutazione;

  3. alterazione dell’identità: immagine di sé e percezione di sé marcatamente e persistentemente instabili;

  4. impulsività in almeno due aree che sono potenzialmente dannose per il soggetto (quali spendere oltre misura, sessualità promiscua, abuso di sostanze, guida spericolata, abbuffate etc.);

  5. ricorrenti minacce, gesti, comportamenti suicidari o comportamento automutilante;

  6. instabilità affettiva dovuta a una marcata reattività dell’umore (es. episodica intensa disforia o irritabilità e ansia, che di solito durano poche ore e, soltanto più raramente più di pochi giorni);

  7. sentimenti cronici di vuoto;

  8. rabbia immotivata ed intensa o difficoltà a controllare la rabbia (es. frequenti accessi di ira o rabbia costante, ricorrenti scontri fisici etc.);

  9. ideazione paranoide  o gravi sintomi dissociativi transitori, legati allo stress

Rifacendomi alla breve sintesi sopra riportata , vorrei presentarvi la storia di una mia giovane paziente che in qualche modo ne riassume le caratteristiche e che, malgrado non si possa dire di avere raggiunto una conclusione,  contiene tuttavia molti elementi di evoluzione e di elaborazione positiva.

Aggiungo che la paziente in questione non si è mai sottoposta a trattamenti farmacologici e che la psicoterapia è stata, e continua ad essere,  l’unica forma di “cura” per sostenere la propria difficoltà esistenziale.
 

La storia di R.
 Quando vedo R. per la prima volta, in ospedale,  ha circa 24 anni. Esile, ossatura sottile e fragile, capelli e occhi castani scuri: mi colpisce il tono della voce, squillante, potente, vivace , e i suoi modi fin troppo educati.  Mi viene mandata da un suo amico la cui madre avevo avuto in terapia. Mi racconta di avere i genitori separati da quando lei aveva 13 anni e di vivere adesso con la madre , impiegata, e il fratello più  piccolo. Mi fa subito il ritratto della madre: una donna debole, pronta alle lacrime, passiva . Un ritratto al quale non vuole assolutamente somigliare. Il padre, infermiere, è descritto come un uomo violento che afferma di odiare. Del fratello si limita a dire che è il bamboccio della madre. Vivono in una casa acquistata  dal padre dopo la separazione in seguito alla vendita di quella dove vivevano tutti insieme. In realtà R. non ha mai lasciato quella casa che descrive come bella e luminosa, al contrario di quella attuale che ritiene povera, brutta e impresentabile. Non invita mai i suoi amici a trovarla perchè se ne vergogna profondamente, soprattutto per il quartiere popolare in cui è situata. Per evitare che gli amici vedano dove abita, si fa venire a prendere o a lasciare a qualche isolato di distanza, soprattutto se si tratta di ragazzi. Questo il quadro della sua situazione familiare alla quale non piace appartenere e dalla quale vorrebbe andare via al più presto.
R. studia lingue, il suo sogno è andare in America, a New York precisamente, la sua passione la vita libera, ma con un certa sicurezza economica. All’epoca ha un ragazzo cui vuole molto bene, ma che non la soddisfa, né caratterialmente né sessualmente, ma che costituisce per lei un fondamentale punto di riferimento.
Mi espone subito il motivo della sua richiesta di terapia: la sua testa buchi, buchi, le chiazze prive di capelli che lei stessa si procura. Tricotillomania è la diagnosi che mi porta. Mania di cui è afflitta già da molti anni: più o meno dopo la separazione dei suoi. Risale a quel periodo l’inizio di una vita ribelle e turbolenta, vicina alle droghe, alle esperienze sessuali facili, a diversi tipi di incidenti dovuti a distrazione, abuso di alcol, comportamenti impulsivi e strafottenti. In questo stesso periodo e all’interno di questo contesto  si manifesta il suo rituale autodistruttivo: comincia con un capello che tira alla radice, ne mordicchia il bulbo, lo guarda e lo getta via per ricominciare con un altro , e un altro ancora. A volte è un piccolo gruppetto di capelli, altre volte vere e proprie chiazze che per un certo periodo l’hanno costretta alla rasatura completa per mimetizzarle.  
 
Un altro importante particolare è che questa operazione viene eseguita anche sulle gambe, tutt’ora oggetto di grande vergogna per i segni che vi sono rimasti: piccoli buchi dove si radica il pelo. In realtà R. asserisce di essere molto pelosa e di scatenare la sua rabbia sulla peluria con questo comportamento ossessivo tutte le volte in cui è particolarmente ansiosa o agitata. Prima di venire da me, ha seguito  una terapia cognitivista per qualche anno con una giovane collega con il risultato di ridurre significativamente per un certo periodo di tempo il comportamento ossessivo, ma di non risolverlo del tutto.  Quando viene da me, al contrario, il comportamento ossessivo si è ripresentato con più accanimento di prima : quello che R. vorrebbe ottenere con un nuovo percorso terapeutico è capire “perché”, e soprattutto ricevere un aiuto per vivere meglio.
 
Identificazioni.
Se rileggiamo questa breve sintesi della storia di R. si evidenzia immediatamente come la stessa abbia scelto come modello di identificazione il padre, descritto come impulsivo e violento, piuttosto che la madre, considerata  passiva e fragile. Sembra infatti che nella storia del proprio sviluppo, le componenti maschili (paterne) abbiano preso il sopravvento rispetto a quelle femminili della sua personalità. O, per lo meno, che i due aspetti siano cresciuti in modo disarmonico e conflittuale, scatenando nel corpo stesso pulsioni di segno contrario ed opposte, ma ugualmente intense. In questo senso la cute  e il capello ( o pelo) che dalla prima ha origine, sono gli elementi simbolici che meglio rappresentano questa lotta interna, rappresentando la storia della propria stessa nascita da un materno ( la cute) da cui accanitamente si vuole staccare.
 
Problematica relazionale
 
Ne consegue chiaramente come le relazioni intrapsichiche e interpsichiche di R. siano improntate su una forte ambivalenza e conflittualità .
Le immago genitoriali e le dinamiche identificatorie mettono in evidenza come la giovane ricerchi da un lato un compagno  forte cui contrapporsi violentemente,  dall’altro garantirsi un rapporto stabile che la sostenga e la “nutra” affettivamente  liberandola dalla paura dell’abbandono e della solitudine sofferta attraverso le vicende familiari. 
 
Inoltre, la non accettazione della propria fragilità emotiva e della propria vulnerabilità, tenute malamente sotto controllo nelle interazioni sociali, unitamente alla consapevolezza dei propri “buchi” affettivi, scatena in lei la paura di soffrire e pertanto l’attacco difensivo verso chi la accosta o atteggiamenti di diffidenza volti a “tenere lontani” quanti cerchino di entrare in contatto con lei con maggiore profondità. In tal senso anche la peluria che a suo dire ricopre abbondantemente il suo corpo, risulta essere un “manto” protettivo per evitare di avvicinarsi o farsi avvicinare dagli altri.  La paura di soffrire, la paura di subìre un (altro) abbandono, inducono R. ad evitare le relazioni affettive, o a distruggerle preventivamente,  ripetendo in modo simbolico il medesimo copione.
 
Il percorso
 
Decidiamo di incontrarci una volta alla settimana.  Fin dall’inizio R. aderisce al setting con precisione e serietà, malgrado talvolta i suoi aspetti ribelli e disordinati la mettono in difficoltà. In questi casi si dimostra sinceramente costernata e in difetto verso le regole stabilite, chiedendomi ripetutamente scusa e “perdono”.  Un aspetto decisamente opposto a quello che normalmente esibisce e che fa capo ad un profondo sentimento di colpa. Lavoriamo insieme per due anni senza interruzioni: è una terapia lenta e difficile. R. si confronta con le sue tematiche distruttive, arginando faticosamente gli impulsi che le procurano  incidenti banali, ma  fastidiosi, o in accese polemiche con tutti coloro che per qualche motivo le sbarrano il passo o la ostacolano o la contrastano. Fatica molto a misurarsi con le difficoltà quotidiane e a ridimensionare i suoi progetti, spesso poco realistici.
Non avendo consolidato dentro di sé una fiducia di base stabile, R. vive il mondo come ostile o comunque minaccioso, mettendo in atto atteggiamenti di sospettosità e di diffidenza se gli altri le si avvicinano in modo amabile. Sostanzialmente è convinta di non potere essere amata , il che contribuisce a mantenere un’immagine di sé negativa, sostenuta dai propri comportamenti mutilanti e dalle conseguenze che ne derivano.
Durante la terapia riesce a concludere il rapporto sentimentale che per lungo tempo aveva costituito un sicuro appoggio e un antidoto alla sua paura della solitudine, ma contemporaneamente noia e stanchezza per la personalità delicata e sensibile del ragazzo, troppo “femminile” per i suoi gusti. Alternando momenti di profonda contraddittorietà, e sopportando il peso della colpa , essendo stata lei l’artefice della rottura sentimentale, comincia un nuovo ciclo che la spinge ad occuparsi maggiormente di sé stessa e della sua crescita interiore. Pur continuando ad aggrapparsi alle proprie convinzioni, altalenando stati d’animo opposti,  riesce tuttavia a dedicarsi alla cura del proprio aspetto femminile,  rinnovando il taglio dei capelli e ricorrendo più spesso  al  trucco degli occhi, prestando maggiore attenzione all’abbigliamento e, in generale, rivolgendo a sé stessa più attenzione e benevolenza.
Conclude con successo il primo triennio della facoltà universitaria, raggiungendo così un primo  insperato traguardo.
La rottura sentimentale la spinge a nuove relazioni e alla  inevitabile ricerca di una sostituzione attraverso  esperienze e diverse conoscenze.
Nell’estate successiva, R. decide  di provare una esperienza di volontariato sociale in un paese dell’est.  Malgrado le molte incertezze  e  indecisioni  la costringano a continui ripensamenti,  convinta di non essere all’altezza della situazione, ma decisa a provarci, riesce a partire.  Durante il periodo all’estero succede quello che non si aspettava: un incontro (tra gli altri) di grande intensità emotiva con un ragazzo francese , sette anni più giovane di lei. E’ una “storia” che va oltre le sue aspettative, che la disorienta, che la spaventa per la forza che contiene.
Quando torna le brillano gli occhi e le risplende la pelle, e ha acquisito tutto d’un colpo la consapevolezza di potere (almeno) piacere, se non quella di essere amata. E’ questa infatti l’esperienza che più di ogni altra conferma la sua patologia: la sua incapacità a fidarsi delle emozioni, ad abbandonarsi al sentire , continuando a fare appello a convinzioni del tutto false pur di non lasciare andare gli eventi, ma invece a controllarli e infine  distruggerli. La convinzione della “impossibilità” è più forte della realtà del desiderio: la razionalità fredda e calcolatrice ne annulla la tensione, la spinta a viverla fino in fondo. Programmaticamente, direi scientificamente, R. uccide la storia. La distrugge come fa con i capelli e con tutto quello che da lei ha origine: non gli dà corso, né futuro, né vita. La annichilisce con i ragionamenti . La paura di una relazione stabile, della dipendenza affettiva, di una intimità voluta e temuta allo stesso tempo forniscono a R. il materiale per rifuggirla e interromperla , trovando nelle argomentazioni raziocinanti (lontananza, differenza d’età, ecc.) le giustificazioni più idonee.
Ancora una volta si ripete il copione rappresentato in  tutta la sua vita affettiva, ma è cresciuta la consapevolezza delle dinamiche interne e il  rituale non basta più a contenere l’angoscia della separazione né a sostenere l’illusione di averne il controllo. Ora è più forte il senso di perdita, la certezza di avere agito un sacrificio, ovvero il sacrificio della propria dimensione emozionale, della  parte più femminile e profonda.  Somaticamente avvengono delle trasformazioni: la pelle del volto segnala qualche foruncolo, come se si fosse sgranato il confine tra sé e gli altri e lo stesso facesse trapelare il fuoco interno, la dimensione emotiva così a lungo imprigionata dall’ipercontrollo e dalla finzione da un lato, o   espulsa attraverso i frequenti acting out e l’impulsività incontrollata dall’altro. Il conflitto sembra essersi spostato in superficie dove è più abbordabile,  più elaborabile.
 
La relazione terapeutica e il transfert
 
Fin dai primi incontri, R. mi segnala fiducia e accettazione. Aderisce al contratto terapeutico fissato in un incontro alla settimana , accettando le regole del setting e mostrando in esso aspettative realistiche. Dimostra sempre il desiderio di venire, a volte anche con impazienza, evidenziando significativamente di avere bisogno del mio appoggio come delle mie annotazioni sulle quali riflette ed elabora. E’ evidente che io rappresento per lei la “madre” ideale: capace cioè di mettere insieme aspetti femminili  e maschili, sensualità e pensiero, accoglimento dei suoi bisogni e criticità. Dall’altra parte,  con ogni evidenza, R. attiva in me la mia componente materna, depurata dei suoi aspetti emotivi ed ansiosi, ma tenacemente disposta a “prendesi cura” di questa giovane ribelle, della sua crescita psicologica, della sua necessità di strutturare la sua identità in modo più adeguato. Il rapporto pertanto si stabilizza nella sua complementarietà adattandosi alle diverse fasi di un processo  lungo e faticoso.
 
Evoluzione
 
Nel corso dei quattro anni di terapia , la terapia stessa ha subìto delle trasformazioni. Dopo un certo periodo di tempo, infatti, ho cercato di sollecitare il suo processo di autonomia proponendo a R. una interruzione della terapia e uno sganciamento dalla mia presenza. Erroneamente forse, avevo creduto che i risultati fino a quel momento raggiunti potessero bastare per rendere R. capace di sostenere una separazione, evitando che il rapporto di dipendenza che si era strutturato si consolidasse ulteriormente.  
Spiegandogli le motivazioni che mi avevano indotta a tale proposta nel modo più chiaro possibile, il mio annuncio acquisì per R. il senso di un “abbandono” rimettendo in gioco le reazioni già sperimentate nelle sue vicende familiari. Discutemmo insieme il significato di ciò che stava accadendo e, senza mai sottrarre del tutto la mia presenza e il mio appoggio, decidemmo di provare a staccare per un certo periodo i nostri appuntamenti favorite fra l’altro dal periodo estivo e dalla pausa  delle vacanze. Tuttavia immediatamente avvertii che la mia proposta era stata prematura e che non era stata accettata. Contemporaneamente mi accorsi però che il nostro legame era in grado di tollerare quella mossa , e che non era stato distrutto. Prevedibilmente infatti, alla fine dell’estate , i nostri incontri ricominciarono al ritmo di ogni quindici giorni, verificando che l’interruzione era servita ad entrambe per prendere coscienza della dipendenza terapeutica e della sua funzionalità rispetto al processo di cambiamento e di crescita che stava continuando. Con sbalzi avanti e passi indietro, avanzamenti e regressioni, R. riusciva sempre di più a sostenere il propri conflitti evitando di cadere in comportamenti particolarmente dannosi. In ogni caso era maggiormente padrona della propria impulsività,  più critica di fronte alle proprie “sbracature”, più consapevole  delle implicazioni contenute nei propri incidenti.
 
Elementi diagnostici
 
Da quanto esposto è facile ricondurre la problematica di R. nel quadro del disturbo borderline di personalità. I  repentini cambi d’umore, la frequenza delle crisi impulsive, la scarsa capacità di mantenere un progetto, la difficoltà a contenere le proprie reazioni emotive,  rientrano perfettamente nel quadro nosografico del paziente borderline . Tuttavia la solidità della nostra alleanza terapeutica ha nel tempo costituito un contenitore efficace per ridimensionare i picchi di questo quadro clinico, riuscendo a fornire una stabile chiave di lettura e di autoconsapevolezza dei propri comportamenti. Oggi R. è in grado di comprendere senza il mio aiuto le dinamiche emotive e i significati sottostanti alle proprie difficoltà  e,  se non è guarita ( nel senso della risoluzione ) dai propri comportamenti dannosi, ha certamente una maggiore padronanza degli stessi.
Da poco R. ha edificato anche un rapporto con i propri sogni, verso i quali precedentemente aveva eretto una barriera difensiva di rimozione e dimenticanza. Adesso non solo è in grado di conservarli nella memoria, ma anche di attribuirgli significato, elaborarli, rifletterci.
Rimane sempre un rapporto difficile e contraddittorio con la propria femminilità. Anche in questo caso oscilla tra momenti di grandiosità verso la propria immagine ad altri di totale rifiuto, di odio verso il proprio corpo non rispondente all’immagine ideale di sé.  
Eppure, suo malgrado, è diventata più bella, più seducente, più donna. Dentro il suo corpo convivono la ragazzina impulsiva e ribelle di sempre e la giovane donna consapevole dei propri limiti, ma anche delle proprie risorse. Il “pelo” sempre spaccato in due dai suoi ragionamenti ossessivi, ha perso un po’ del suo potere, pur servendosene ancora per difendersi dalle proprie paure.
Tante volte mi sono chiesta fino a quando potrà durare la nostra relazione terapeutica. Come e quando poterne decretare la fine. Credo che sarà la vita a farlo, le inevitabili scelte che R. dovrà compiere per il suo lavoro , per il suo ingresso nel mondo, sganciandosi definitivamente dalla dipendenza materna reale e terapeutica nella quale ancora vive. Le sue ambizioni si sono ridimensionate, ed è quasi giunta a concludere il secondo ciclo di studi universitari e a completare la specialistica. Forse la terapia resisterà ancora a lungo nella mente di R., sarà interiorizzata, diventerà parte di sé per sempre.
Credo infatti sia questo l’unico vero esito possibile, l’unico modo perché un paziente possa giungere a  sostenersi da solo, memore che qualcuno l’ha fatto per lui.
 
 
 

 
 

giovedì 19 settembre 2013

21 Settembre 2013




Come ogni anno, in occasione di questa giornata, dedico un pensiero speciale a mia madre, andata via con questa malattia più di dieci anni fa, sola, nella stanza di una pensione che fu la sua ultima dimora: l’unica - allora credemmo io e le mie sorelle -  per contenere le devastanti conseguenze della malattia. Gli anni passano e questo ricordo è il più imperdonabile della mia vita.

L’Alzheimer è una malattia che invalida gli individui, li mortifica, deteriorando il loro mondo, le loro relazioni, la memoria di sé , di chi si è stati, di chi si è amato. Per questo anche le famiglie, i figli,  e tutti coloro che gli stanno intorno finiscono per ammalarsi un poco insieme a loro, finiscono per morire un po’ come loro.

Per fare qualcosa per arginare una malattia in continua crescita, per prevenirla, per aiutare le famiglie coinvolte e sostenere i caregiver, l’Associazione AMA ha deciso quest’anno di scendere in strada con questo opuscoletto disegnato per loro da mio figlio: il suo modo per ricordare la nonna.

Un modo leggero per diffondere qualche informazione su una esperienza pesante; un modo informale  per invitare tutti noi a prenderci cura  della nostra mente.

A.M.A. Associazione Malati di Alzheimer , Via Salvatore Paola 9 Catania-3475923165