martedì 7 ottobre 2014

Scarpe....che passione!

Oggetto di desiderio femminile e maschile, le scarpe sono tra i capi di abbigliamento  piu’ amati dalle donne. Una  passione che induce all’acquisto di scarpe anche se l’armadio ne e’ gia’ pieno, a rimanere incollate alle vetrine delle novita’, a “possedere” modelli che forse non si indosseranno mai. Le scarpe rappresentano infatti il mondo della seduttivita’ e dell’ erotismo, forse piu’ di un abito o di un indumento intimo e appartengono all’immaginario femminile e maschile con pari intensita’. Pensiamo alle immagini di donne nude su tacchi altissimi, o all’accoppiamento ormai classico tra le succinte guepiere nere e gli alti stivali dello scenario sadomaso. Sono rappresentazioni dell’erotismo collettivo cui fa riferimento il desiderio  di uomini e donne. Se consideriamo la scarpa dalla prospettiva delle donne, ci rendiamo conto che la scelta che facciamo va  ben oltre le componenti della moda o della eleganza o della praticita’.  Indossare un tipo di scarpa piuttosto che un'altra e’ connessa ad un preciso messaggio che ogni donna lancia all’universo circostante sulla propria identita’. Chi preferisce sempre  scarpe con il tacco e’ certamente molto diversa da chi predilige le scarpe basse e sportive, alludendo l’una all’atteggiamento sensuale e seduttivo per eccellenza, l’altra ad una maggiore liberta’ e determinazione. La scelta del tacco alto, soprattutto se sottile o a spillo, rimanda ad un modello femminile ancheggiante e morbido, cui si accoppia un genere di abbigliamento idoneo, generalmente gonna piu’ che pantalone, rivelando una natura piu’ tradizionalmente legata alla sensualita’. Chi al contrario predilige la scarpa bassa mostra una maggiore propensione per la praticita’ e forse una maggiore sicurezza in se’ stessa, come anche una sfida ai classici modelli femminili . E' il caso di chi sceglie in modo marcato  stivali anche molto pesanti, o anfibi , svelando una natura trasgressiva e anticonformista che si oppone alle regole e che deliberatamente rinuncia allo stile femminile propendendo per uno stile piu’ androgino anche se non per questo meno sensuale. Ma tra  scarpe alte e basse, tacco largo o tacco sottile, oggi piu’ che mai, la moda propone una infinita’ di modelli tra cui scegliere : zeppe, infradito, stiletti , stivali al ginocchio, scarpe gioiello, calzari, fogge tra loro diversissime  che rivelano lo stile e la personalita’ di chi le porta, il proprio modo di porsi, il proprio “personaggio”.

E i maschi, cosa adorano delle calzature femminili? Sappiamo che il piede e’ in ogni paese e in ogni cultura oggetto di desiderio  da parte del genere maschile che vede nella caviglia, nelle dita laccate, un richiamo erotico molto forte. Un piede calzato in modo appropriato seduce piu’ di una ampia scollatura. La scarpa pertanto si carica del significato sessuale che rimanda alla donna amata, divenendo il  suo sostituto, il feticcio da adorare. Nell’antica Cina il piede e’ stato oggetto di culto e di interesse molto piu’ che in occidente: la pratica della fasciatura del piede delle donne per impedirne la crescita  era connessa alla appartenenza sociale e al ruolo di soggezione cui una donna era culturalmente obbligata. Piedi grandi non soltanto erano considerati particolarmente sgraziati e poco seducenti , ma indicavano la provenienza da un basso ceto sociale . Anche  tra le donne berbere l’attenzione ai piedi adornati alle caviglie  da braccialetti e catenine dimostra come questa parte del corpo sia stata fin dall’antichita’ e in culture diverse oggetto di adorazione e di  particolare predilezione. D’altra parte anche la favola di Cenerentola con la sua famosa scarpina di cristallo riassume nell’immaginario collettivo la  valenza erotica e sociale di questo oggetto,  e il suo immutabile fascino. Non stupisce quindi che oggi sia considerata un accessorio indispensabile dell’eleganza e che ad essa si attribuisca un valore particolare per definire il proprio stile e la propria identita’. Pertanto siamo tutti un po’ feticisti se a questo termine attribuiamo il senso di una speciale passione verso questo oggetto nel quale le donne riflettono il proprio narcisistico ideale femminile, i maschi  vi riconoscono  l’immagine del proprio adorabile oggetto  d’amore.

 

giovedì 2 ottobre 2014

Il mito della bella famiglia felice


Mi imbatto spesso nel corso della mia pratica sulla esistenza di questo mito nella psiche collettiva della societa’occidentale. Quella che in quest’ultima  rappresenta una delle strutture istituzionalizzate  piu’ potenti per la sua stabilita’ e il suo ordine, produce all’interno della psiche individuale una immagine che ne accompagna lo sviluppo fondando una gestalt dalla quale e’ molto difficile prendere le distanze , anche quando apparentemente vi si distacca o vi si oppone.

Dunque la famiglia: Padre, Madre, Figlio. Una triade sulla cui base si reggono non solo rapporti affettivi e sociali, ma economici, patrimoniali, assicurativi, ereditari. In nome della perpetuazione della specie, ogni societa’ infatti elabora un sistema di norme per evitare il caos che regna serenamente nel mondo animale, evitandone le pericolose commistioni, e regolandone i rapporti nel modo piu’ preciso possibile. Ad ognuno inoltre e’ attribuito un compito preciso che diventa “ruolo” al quale uniformarsi e la cui bonta’ e’misurata attraverso un preciso sistema di valori  che ne decretano l’adeguatezza o, la contrario, la scelleratezza. Perche’ la famiglia cui ci ha educati la cultura cristiana e’ quella che molto spesso confligge con quella nella quale siamo nati, rendendo la sua realta’ concreta molto difficile e spesso inaccettabile, ma non per questo meno vera e infelicemente duratura.

Dice Sandro (i nomi sono immaginari) venuto a fare terapia di coppia insieme alla moglie Rina: questa non e’ la mia famiglia, alludendo alle difficolta’ nelle quali quotidianamente si imbatte soprattutto in relazione alle due figlie. E che dire di Eveline, una giovane meno che trentenne che viene in terapia per il fallimento della sua storia sentimentale con un uomo sposato che non riesce a lasciare la propria moglie: brutta copia della propria famiglia di origine che solo per gli altri risulta  unita e stabile, ma priva di  alcun rapporto tra i suoi componenti, silenziosamente separati nelle loro singole stanze , ossia  nelle loro quattro singole vite. Quale mortificazione rendersi conto che insieme non possiedono nemmeno una foto, nemmeno una lontana parvenza della finzione che da anni portano avanti.  Un altro esempio puo’ essere descritto dal caso di Marinetta, una donna attraente e intelligente, che a questo mito ha sacrificato la propria vita sentimentale, pur di sostenerla agli occhi dell’unico figlio e alla salvaguardia del suo patrimonio, relegando le proprie esperienze affettive nella clandestinita’ e nel buio. Questi pochi accenni ad alcune delle innumerevoli storie che ho seguito, ma anche di semplice conoscenza, spingono a porsi degli interrogativi e a formulare delle considerazioni.

Come afferma Tolstij nell’incipit di  Anna Karenina  tutte le famiglie felici sono simili tra loro; ogni famiglia è infelice a modo suo, gli esempi che ho citato dimostrano che mentre l’ideale della famiglia perfetta fa riferimento ad un’unica immagine presente nella coscienza collettiva,  la sua identita’ reale e’ invece   diversificata e contestualizzata, immersa in un intreccio complesso di emozioni, sentimenti, aspettative.  Evitare il conflitto pur di mantenere incontaminata l’immagine idealizzata  dei rapporti tra i membri di una famiglia, significa sostenere una finzione che a lungo andare  li depaupera della autenticita’ e della libera espressione dei sentimenti.

Il cinema contemporaneo, cosi come la letteratura,  ha da lungo tempo scelto come soggetto di rappresentazione la famiglia e le interazioni tra i suoi membri, soffermandosi  sull’utopia della famiglia ideale e concentrandosi sulle sue ipocrisie che , piu’ dei conflitti aperti , ne scompaginano la struttura silenziosamente ma non meno dannosamente. Dall’assenza ai tradimenti, dalla prevaricazione alla passivita’, dai silenzi alle manipolazioni,  le figure dello scenario familiare “recitano’ la propria parte nascondendo inconfessabili verita’ pur di mantenere inalterata la struttura   a se’ stessi e ancor di piu’ agli occhi degli altri.  Perche’, anche in epoca di grandi trasformazioni sociali come quella in cui viviamo, il modello familiare tradizionale sopravvive rigidamente come immago interiorizzata dei singoli individui,  un fantasma con cui confrontarsi continuamente , un riferimento insopprimibile nella propria evoluzione. Malgrado la pluralita’ culturale del mondo attuale, l’immigrazione, la diffusione di convivenze tra persone dello stesso sesso e il crescente numero di divorzi,  il concetto di famiglia rimane immaginativamente ancorato alla sua composizione originaria e ai ruoli primari a questa connessi.  L’interiorizzazione di questa struttura, nella sua forma buona sembra pertanto una gestalt che resiste ai cambiamenti sociali e culturali, alle trasformazioni del tempo, con una refrettarieta’  che mina la creativita’ di ogni nucleo familiare e la possibilita’ di elaborare le proprie tensioni  in termini positivi .
Al contrario, conflitti e contrapposizioni sono fonte di conoscenza e di scambio , di approfondimento e di individualizzazione delle tematiche familiari . Non e’ un caso che quando la finzione cade , e i conflitti negati o nascosti esplodono per cause impreviste , la violenza puo’ emergere in modo altamente pericoloso.

Il modello della famiglia perfetta o felice e’ pertanto un mito imperfetto che distorce la realta’ e non permette di affrontarla, logorando interiormente chi si illude di poterla raggiungere o chi si ritiene responsabile del suo fallimento. Una mia  paziente, di 76 anni, divorziata da 20 , pittrice affermata ed apprezzata, continua a rimproverarsi di avere tolto alle sue due figlie ormai quarantenni la famiglia e di avere dato a queste ultime una grande sofferenza conseguente alla propria scelta. La colpa di non aver saputo sostenere un matrimonio infelice grava ancora nella sua vita come nelle sue opere, dense di ombre scure  come i suoi rimorsi. Cito il caso di questa artista, laica, femminista, creativa, che malgrado il suo carattere determinato e libero , non e’ riuscita a sganciarsi dal sentimento di colpevolezza che la opprime da molti anni e a cancellare dalla propria anima l’immagine di una famiglia che avrebbe potuto essere felice se solo fosse stata capace di sacrificarsi. Per concludere, un cenno ai riti connessi al mito in questione. Alludo a quelli che sono i momenti rituali che ogni famiglia mette in atto per celebrare la “bontà' ” della sua esistenza. Le feste, i pranzi, i compleanni, e tutte quelle occasioni  in cui lo stare insieme presuppone legami affettivi, affinita’, autenticita’ dei sentimenti. Eppure sono questi i luoghi piu’ significativi della finzione cosi’ come le occasioni piu’ feroci del suo disvelamento. Laddove infatti la famiglia recita le sue bugie e reprime i suoi segreti, parafrasando il titolo di un vecchio film sull’argomento, i riti familiari divengono momenti di malessere e di disagio profondo per tutti i componenti , circostanze che da feste si trasformano spesso in tragedie. Da Festen ( 1998) a Le fate ignoranti (2001)  il cinema non smette di mettere in scena  le riunioni familiari attorno alla tavola imbandita : e’ proprio in quelle ri-unioni che la verita’ affiora senza discrezione, distruggendo definitivamente il mito della famiglia felice .