Nella
stanza più segreta di una splendida dimora Virgil coltiva la sua idea di donna attraverso una
pregiata collezione di dipinti famosi.
Virgil Holdman è un collezionista e un battitore d’asta, abile a distinguere una copia
da un originale, egli stesso tuttavia avvezzo a spingere astutamente le offerte verso il proprio piacimento ed interesse. E’ innamorato dell’Arte, ma non ha mai amato
una donna se non nella sua rappresentazione artistica. I guanti che indossa lo proteggono dal contatto con la realtà,
evitando che questa possa lasciare impronte sulle opere che tratta, ma più
ancora sui sentimenti. Simulazione e realtà si intrecciano da subito in questo affresco
filosofico del regista siciliano sull’enigma della verità, sempre difficile da
distinguere e decifrare. L’incontro con una donna “vera” condurrà il bisbetico Virgil,
suo malgrado, ad una metamorfosi e ad una inaspettata
revisione di sé stesso. Continuando a mettere insieme i pezzi di un misterioso
ingranaggio, dentro una lussuosa villa
carica di oggetti e mobili antichi, la realtà del femminile prende voce,
portando alla luce la curiosità e la vulnerabilità del protagonista finalmente
attratto da una donna che tuttavia si nega alla vista e confonde la conoscenza.
Il conflitto tra ciò che e’ e ciò che appare, tra ciò che appare e ciò che si
nasconde, tormenta Virgil fino allo stremo, fino allo smarrimento e allo sbando
esistenziale. Travolto dal desiderio di possedere ora l’oggetto di un nuovo
appassionante amore, Virgil entra in contatto
con il suo essere più profondo, si dà a questo nuovo trascinamento dei
sensi, abdica alla ragione che fino a quel momento lo aveva difeso e protetto. Come
quasi sempre accade è nella sua stessa stanza segreta che Virgil troverà la verità.
Il gioco della simulazione possiede tutto il
film al di là della sua trama anche nel finale, anch’esso sfuggente ed enigmatico,
lasciando allo spettatore la possibilità
di trarne la conclusione. La chiave di
lettura con la quale il regista accompagna e sottintende la narrazione è nella
frase più volte ripetuta: "In ogni falso si
nasconde sempre qualcosa di autentico”. Se l’amore, come tutto il resto, può
essere sede di inganno e di simulazione, alterazione dello sguardo, abbattimento
dei confini tra sé e l’altro, ugualmente
non si può escludere l’autenticità della sua forza e del suo potere capace
di rivoluzionare la vita di chi lo segue.
Chiunque ne sia toccato perde gli usuali punti di riferimento, rimane a ruotare
dentro il suo vortice come Virgil nelle
ultime scene, ora ragione ora follia ora illusione, in attesa che il tempo
possa chiarirne il significato.
Ma forse , l’archetipo più ambiguo ed inquietante del film è rappresentato dalla nana dietro la vetrina:
sgorbia, immobile, a metà tra un essere vivente e un essere meccanico,
testimone senza tempo che tutto osserva, immagine di una possibilità di
conoscenza che supera i limiti e le barriere entro cui è costretta: l’unica
forse a conoscere la verità.
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