domenica 26 maggio 2013

LA GRANDE BELLEZZA , Paolo Sorrentino

    
 

Nel palcoscenico grandioso di Roma , la Bellezza e il suo mito popola le notti , le feste, gli incontri, inondando della sua presenza la vita  di chi nella mondanità cerca il conforto e la soluzione al proprio male di vivere. Come già nella Dolce Vita  felliniana, a cui il film  è stato accostato, il regista sceglie la ricchezza barocca di Roma, la sua grandezza stancante ed eccessiva, come simbolo di una  “promessa” e  come antidoto a combattere la noia e l’ angoscia di morte che ci divora.

Su questo sfondo, chi,  più di un attore come Toni Servillo, avrebbe potuto meglio  interpretare  la maschera dell’uomo ricco che, dalla sua magnifica terrazza affacciata sul Colosseo, contempla con critico distacco e ironico cinismo l’affannosa  corsa contro il tempo, mentre  tra balli ossessivi e  innumerevoli drink , festeggia il suo sessantacinquesimo compleanno? Paolo Sorrentino lo sceglie per dare volto a Jep Gambardella: scrittore di un unico romanzo giovanile, giornalista eclettico ed egocentrico alle prese con la domanda se vale la pena di scrivere ancora, che in definitiva segue quell’altra: vale la pena di vivere continuando a cercare con mille trucchi qualcosa che continuamente sfugge? Dissertando nel suo salotto all’aperto insieme ad altri ugualmente impegnati a dare una risposta alla stessa domanda, Jep non perde alcuna occasione che gli permetta di coglierne un briciolo di senso, dal sesso alla cultura, dalle feste agli affollati studi del più affermato chirurgo estetico, pur mantenendo da tutto  una distanza critica, una razionale lucidità che lo difenda dal precipizio.

Ma l’imprinting della Bellezza  ha radici lontane , nell’Ombra di un passato che ciascuno tende continuamente a rimuovere, e a cui continuamente ci si aggrappa,  dirigendo le nostre scelte, corrugando il volto, segnandolo, giorno dopo giorno, per infine consegnarci l’immagine di ciò che siamo. In questo intreccio profondo risiede il  sacro senso del vivere, come sembra volere ricordare la Santa centenaria in visita a Roma che con il suo volto disfatto dal tempo, con la sua immagine violentemente  diversa da ciò che si cerca, ci riporta alla più  incancellabile verità: il  canto effimero della bellezza, la sua caducità. Il regista gioca con i simboli dell’ambivalenza: dalla musica alle immagini, dal’individuale al collettivo, dal personale all’universale , dal sacro al profano, eccedendo egli stesso , per raccontare in  quest’opera grottesca e struggente, le contraddizioni  e l’ambivalenza del viaggio nella vita.  Di questo viaggio Roma ne rappresenta una meta, un miraggio direi, ammaliante e traditore.

“Roma mi ha deluso” , conclude Verdone, l’unico personaggio che  più realisticamente osserva le cose dalla parte della periferia romana dove abita: il più vicino a comprenderne l’illusoria seduzione e a decidere di  fare ritorno al suo paese d’origine. Perché la Bellezza è lì dove tutto è cominciato e dove, per la prima volta, ha svelato il suo volto, dove l’eterno viaggio dell’uomo anela  sempre di tornare se solo  è capace di tollerarne la mancanza e la consapevolezza dell’impossibilità di possederla.
                                                                   
                                                    

giovedì 23 maggio 2013

Il Padre lussurioso

 

Riflessioni sull’odierna  mutazione dell’archetipo del padre


Le mie riflessioni sull'archetipo del Padre, unitamente alle vicende psico-patico-politiche che animano il nostro paese, hanno ispirato l'articolo che segue.

 
“dietro ogni singolo padre c’è l’immagine eterna del Padre” C.G.Jung, 1931

 
Da alcuni decenni si parla dell’assenza del padre nella società moderna e delle sue conseguenze negative non solo sul piano personale delle nuove generazioni , ma soprattutto, per la valenza simbolica che il concetto di  Padre esercita sul piano collettivo. L’archetipo del padre è portatore di aspetti indispensabili per lo sviluppo culturale e sociale dell’individuo e della comunità, è il portatore dei valori etici e dei principi fondamentali del vivere insieme , fondatore della struttura familiare, sociale, universale. Basti pensare al gesto creatore del Dio Padre, ordinatore del cielo e della terra, legislatore del cosmo nella visione cristiana : attributi che fino all’inizio del novecento  ogni uomo con questo ruolo replicava con maggiore o minore impegno nel cosmo familiare  senza mai  metterli in discussione. La radicale trasformazione che nel secolo scorso ha  investito la società occidentale, la secolarizzazione della cultura, la mutazione della economia e il dissolvimento del sistema familiare, ha modificato sostanzialmente i ruoli genitoriali con un’avanzata femminile che ha ridotto  la forza dell’autorità paterna unitamente al progressivo deterioramento della morale tradizionale. I padri quindi si sono lentamente trasformati in mammi, in amici, in “papi”. Dalla figura temuta e rispettata dei padri della mia generazione, i padri hanno assunto gradualmente il volto consolatorio materno, il compagno di giochi, il complice di trasgressive avventure, dispensatore di piacere piuttosto che di doveri. Se tra i compiti fondamentali del padre c’era quello del mantenimento economico della famiglia attraverso il lavoro, la diffusione del ruolo lavorativo anche per la madre ha svalorizzato quel “ privilegio” maschile , ma ha certamente aggiunto ricchezza al tenore familiare e consentito ai figli l’appagamento di maggiori desideri . In questo senso il padre è divenuto nel tempo colui che può soddisfare piaceri più grossi di quanto era consentito in passato. E’ evidente che tutto questo non è possibilità di chiunque ma ne costituisce l’esempio,  il modello comportamentale ideale da raggiungere a tutti i costi. Anzi, è proprio nelle classi meno fortunate che il modello del padre ricco, dispensatore di piaceri, dall’auto di lusso all’ultimo modello di iphone, trova maggiore attecchimento, divenendo l’immagine emblematica del benessere. Che poi il raggiungimento di tale condizione sia guidato da principi discutibili  e ottenuto  attraverso condotte moralmente riprovevoli è poco rilevante per una società nella quale il fine giustifica i mezzi e dove il denaro rappresenta lo scopo essenziale dell’esistenza. In questo senso l’imago di un padre lussurioso si contestualizza nel generale sistema di “concupiscenza” che caratterizza la società odierna,  i cui miti che la sostengono fanno riferimento a modelli di  uomini  ricchi, potenti, famosi e di successo con le donne.  Il concetto stesso di lussuria  si è pertanto profondamente modificato passando da vizio capitale a nuova virtù, da apprezzare ed  imitare dando un volto totalmente diverso al modello di padre : se questi infatti è stato considerato da sempre come  colui che guida, che indirizza, che sostiene, nella logica del piacere cui faccio riferimento non può che essere lussurioso. E’ chiaro il riferimento alle ormai ripetitive vicissitudini politiche del nostro paese dalle quali emerge chiaramente il modello vincente del padre-imprenditore, capace di fornire un esempio improntato alla creazione di un sistema redditizio economicamente e  vantaggioso per la propria identità personale. Un padre che alimenta la bramosia del potere più che la responsabilità delle proprie azioni, che si lascia lusingare dalle carezze di chi lo segue:  un leader che si rappresenta come seduttivo e seducente attraverso le ricchezze che promette ai suoi figli/membri sociali : il già noto “papi” . Il papi è  amorevole con chi lo corteggia, indulgente, sensibile alle richieste  di  soddisfacimento di piccoli o grandi desideri in quanto sollecitano la propria vanità e sono una conferma del proprio potere. Se in altri tempi il padre era colui che esigeva dei limiti, oggi è colui che li rimanda, li sposta e li supera. Non più il legislatore all’interno di confini precisi, ma il vettore per il loro superamento. Del resto, vuoi o non vuoi, puoi o non puoi, la società attuale non tollera limiti al proprio espandersi, al dilagante impero del narcisismo personale, confortata dalle possibilità tecnologiche dell’era globale ad ottenere gratificazioni, seppure effimere, impensabili in precedenza.   Oggi si pretende tutto. E si può avere tutto. Basta comprarlo.  Come già  negli anni 70  E. Fromm evidenziava,  “in una cultura nella quale la meta suprema è l’avere –  anzi l’avere sempre più –  si direbbe che questa sia la vera essenza dell’essere ,  e  che  se uno ha nulla,   è nulla” . In questo quadro  è quanto mai facile l’escalation di leaders che sull’avere fondano la propria identità e che a tale risultato mettano al servizio il loro fare. Il fare,  inteso sia in senso personale che politico,  è oggi funzionale al desiderio di essere chi più ha , di possedere, alimentando idoli e illusioni piuttosto che sollecitare lo sviluppo e la realizzazione quasi sempre con fatica,  se non anche con la rinunzia,  all’immediato soddisfacimento.

Pertanto, in un mondo dove il possibile non ha limiti umani, ma post-umani, la figura del Padre -governatore si tratteggia come colui che  invita a superarli con ogni mezzo. Non norme, ma strategie, no principi ma presupposti. Se questa analisi, per quanto parziale e imperfetta, aderisce in qualche misura al clima contemporaneo, una ristrutturazione dell’archetipo del Padre non può riproporre  il dio morto dei tempi che furono, ma adoperarsi per ristabilire un contatto con i desideri di giustizia e di solidarietà e di integrazione che oggi l’era globale richiede,  senza toni moralistici o talora anacronistici,  destinati senz’altro al fallimento. Non è un caso, a mio parere, che il ripristino della dignità morale perduta sia oggi affidata ai  “figli maggiori” : nella perpetua dialettica  tra il senex e il puer, un giovane padre/adulto può forse meglio  essere in grado di  mediare tra le pulsioni del desiderio e la necessità di contenerle,  orientando i propri fratelli in un mondo fondamentalmente nuovo che mai potrà tornare a restaurare l’autorità indiscutibile del Padre Eterno, ma rappresentare un padre capace di interpretare correttamente e responsabilmente  il proprio tempo:  flessibile ma non assente,  integrando,  nel rispetto della realtà, il principio di piacere  così come il desiderio, decaduto nella modernità a consumo indifferenziato e compulsivo.  Perché , come direbbe Lacan,  il desiderio ha bisogno della legge, di un limite al suo libero e individualistico appagamento. E’ di questa legge che il padre deve tornare a farsi garante e “guardiano” evitando di sollecitare , sia in senso familiare che collettivo, l’immagine di un padre/papi amabile e disponibile da sedurre per riceverne più doni e ricompense. Aspetto che , pur nella differenza, produce conseguenze ugualmente dannose nel maschio e nella femmina, configurandosi  come un modello fortemente sessualizzato , competitivo per il primo, incestuoso per  l’ altra. E' quindi auspicabile che il nuovo padre riprenda il governo delle proprie pulsioni, tornando a distinguersi dai figli, per garantire la differenza e la discontinuità dello sviluppo senza la quale la storia non sarebbe evoluzione, ma  sterile riproduzione del medesimo ordine, indifferenziato e fusionale.

sabato 11 maggio 2013

Le vertigini: una lettura simbolica


Tutti noi, è evidente, abbiamo un equilibrio fondato su abitudini, punti di riferimento, percezione di noi stessi e del nostro schema corporeo che ci orientano nello spazio che viviamo. Punti di riferimento che ci sostengono,  ci stabilizzano, rendendo più “controllabile” il flusso continuo di eventi che ci attraversano e ci  ruotano intorno.

A volte però, questi punti apparentemente saldi scompaiono per innumerevoli ragioni, o si modificano, o hanno necessità di essere sostituiti. Sono molte le ragioni per cui si pone questa necessità: un cambiamento nei rapporti affettivi, la fine di una relazione sentimentale,  una fase di transizione, una modificazione della vita lavorativa, o anche più semplicemente un trasferimento o un trasloco: queste e molte altre situazioni  ci spingono a dovere rinunciare a ciò che fino a un certo punto ci dava certezze ( o pseudo tali) , obbligandoci ad affrontare tematiche nuove, a misurarci con contesti diversi. Il nuovo si apre attorno a noi  destabilizzandoci, interrompendo la sicura linearità che ci proteggeva. Il nuovo è attraente, ma anche minaccioso: è stimolante, ma sconosciuto e ignoto.

Come un ponte su un precipizio siamo costretti a passare da “un’altra parte”, a tras-locare la nostra esperienza di vita,  a metterci di fronte a un’altra visione di noi. Se il nostro sistema era particolarmente rigido, se ad esso ci si teneva aggrappati con idee, principi, abitudini che avevano assunto posizioni nette e poco suscettibili di revisione, il nuovo può essere parecchio in-comodante: dal punto di vista emotivo significa rinunciare alla eccessiva razionalità per dare ascolto a  parti di noi più istintive e “basse”, rispetto alle idee e convinzioni mentali entro  cui ci credevamo al sicuro. Questa prospettiva, in alcune persone, crea un sentimento di  instabilità tale da sentirsi scombussolati , disorientati, senza più appigli. E’ il momento della vertigine, dello smarrimento nel vuoto, della nausea che accompagna questo essere attratti “sotto”, nelle nostre parti più istintuali e remote. Non è un caso che le persone che soffrono cronicamente di vertigini sono fondamentalmente combattute tra la tendenza a seguire i propri impulsi e il tentativo di controllarli, gestirli o reprimerli. In genere, esse hanno una vita intellettuale vivace ma vissuta in modo rigido e cerebrale, opponendo resistenza ai cambiamenti anche quando la propria situazione non è più particolarmente appagante.

Riordinare  il mondo che ognuno di noi vive  non è sempre facile, né automatico. Sorge un conflitto che disarticola le costruzioni fatte  in precedenza: non sempre si possono affrontare le fasi di cambiamento senza difficoltà. Per chi è portato alla sindrome vertiginosa, questo passaggio è più greve, più tormentoso e le vertigini segnalano questa paura/attrazione verso ciò che si sconosce, talora con una forte carica energetica che , utilizzata positivamente, può costituire la fonte preziosa di nuovo adattamento.

E’ evidente che la lettura del sintomo cui mi riferisco va sempre contestualizzata entro il quadro clinico della persona , escludendo le cause organiche che possono esserne all’origine. Ma in considerazione della grande diffusione delle vertigini anche tra i giovani e persone fondamentalmente sane ( si parla di vertigini soggettive) è opportuna un riflessione attenta ed accurata rivolta al momento e alla situazione nella quale le stesse  si presentano. Psiche e soma sono un insieme inscindibile dove l’una manifesta l’altra , esprimendo con il linguaggio simbolico l’essenza di ciò che si sta vivendo. Le vertigini pertanto sono il segno della instabilità della vita: un equilibrio che necessita di continui aggiustamenti, di ritocchi e qualche volte di drastiche revisioni. Le vertigini ci lanciano nel vuoto, nello spazio di un cosmo senza più struttura indicando che è necessario un momento di ri-strutturazione profonda di noi stessi, di ciò che facciamo e pensiamo.

Queste considerazioni sono da tenere presenti in tutti quei casi in cui, malgrado i vari accertamenti che i medici richiedono ( tac, risonanze, visite specialistiche di vario genere) , non si riesce a trovare una spiegazione che giustifichi gli attacchi vertiginosi che , com’è noto a chi ne soffre, si presentano in modo ciclico con frequenza e durata variabile. In tutti questi casi è opportuna, se non indispensabile, aggiungere  un’indagine psicologica approfondita e specialistica per analizzare quello che ho genericamente sopra descritto .