lunedì 25 marzo 2013

Quando l'amore è dannoso

 
 Sulla dipendenza affettiva
 
“ Provava e riprovava, ma per quanti sforzi facesse, Livio non riusciva a venire a capo di quella condizione in cui pure si era stancato di vivere. Più ci sbatteva la testa e più si invischiava. E più le cose si ripetevano, più tornava indietro e cominciava daccapo”
                                                                                                             La donna di scorta,  Diego de Silva
 
Maschi o femmine, in relazione alle  esperienze affettive più significative della  vita, creiamo nella nostra mente una persona ideale, generata dalla fantasia, che si fissa dentro di noi e che porta in sé tutte le nostre idealizzazioni, aspettative, soddisfazioni, seduzioni che nel tempo abbiamo effettivamente conosciuto e perduto,  o mai avute e quindi fortemente desiderato. Finiamo per cercare  questa “imago” nelle persone che incontriamo, come cucendo loro un vestito indosso, frutto delle nostre proiezioni fantastiche, anche quando la stessa è molto lontana e diversa dalla immagine originaria cui ci riferiamo. Questo è il fondamento per il quale  molto spesso si rimane imprigionati in legami che, pur essendo nella realtà molto distanti dalle aspettative, continuano ad essere protetti e sostenuti da quella parte di noi che non vuole arrendersi e non vuole ammettere il fallimento .
Questa è sostanzialmente la base della dipendenza affettiva che, come ogni altra  dipendenza, ci dispone ad alterare la visione della realtà pur di non vederla per com’è veramente. Per questo tutti i tentativi di interromperla conducono a intollerabili sensi di colpa, come se concluderla fosse dovuta alla nostra “cattiveria”, alla nostra incapacità , e non alla effettiva inadeguatezza della persona che ci ha profondamente delusi o feriti.
 
I sintomi:
Paura di perdere l’amore
Paura dell’abbandono, della separazione
 Paura della solitudine e della distanza                                                                                  

 Profondo senso di colpa
 Rancore e rabbia nei confronti del partner
 Paura di mostrarsi per quello che si è
 Senso di inferiorità verso il partner
 Dedizione totale al partner e annullamento di se
 Senso di frustrazione
 Abbassamento dell’autostima

A causa della paura dell'abbandono, della separazione, della solitudine, si è più disposti a negare i propri veri desideri per continuare a giustificare il mantenimento della relazione, sacrificando parti di sè pur di rendersi amabili.
Ciò che imprigiona  è la speranza o la  presunzione di riuscire prima o poi a modificare la relazione, a farci amare da chi  non vuole farlo,  di riuscire a farci finalmente comprendere.  Gli individui dipendenti cercano in tutti i modi di salvare l’oggetto d’amore, senza il quale credono di non potere vivere e di non potere avere diritto alla felicità.
La guarigione dalla dipendenza affettiva non è tanto il distacco dalla persona o dalle persone che pensiamo di amare, cosa che fa soffrire in ogni legame sentimentale, quanto l’acquisizione di una  autonomia personale che ci permetta di entrare consapevolmente e realisticamente in relazione con l’altro in modo equilibrato e reciproco. Il sentimento che ci fa pensare di non potere fare a meno dell’altro, che consegna nelle sue  mani  la nostra gioia di vivere, è un sentimento che ci depaupera della nostra vera identità e che mortifica la nostra autostima. Questo  amore dannoso non  nutre, ma uccide, perché  ci rende fragili e  compiacenti a danno della nostra più  autentica essenza e dei  veri bisogni che crediamo, se rivelati, possano renderci  non  più “amabili”. Pensare di dedicarsi all’altro per assicurarci l’amore non soltanto non esclude il possibile abbandono o tradimento, ma è  la via più diretta per il tradimento al nostro sé più profondo. Ciò costituisce non solo una base sicura per l’infelicità, ma  è anche  condizione di stress e di conseguenze negative  sul piano della salute psico-fisica: dalla depressione, all’eccesso di droghe consolatorie, ai disordini alimentari. L’amore malato porta alla disfunzionalità del singolo e della coppia. Voglio aggiungere e sottolineare che la dipendenza affettiva, non riguarda soltanto i rapporti sentimentali, ma tutte quelle relazioni ( genitori-figli, amici, fratelli, ecc ) dove vengono sottomesse e disattese le istanze soggettive dell’uno o dell’altro, nell’illusione che questo possa evitare pericolose rotture. E’ da aggiungere che in questi legami dannosi c’è sempre una interdipendenza e una contro-dipendenza tra le parti, dove il soggetto più forte alimenta la sottomissione del più debole impedendogli con la manipolazione, con il ricatto, e talora con forza, di  abbandonarlo,  pur di mantenerne la gratificazione narcisistica e la posizione di potere. Simili legami diventano pertanto lesivi per tutte le  parti in gioco per il carico di implicazioni emozionali che sempre comportano e che ripropongono uno schema comportamentale  (copione ) denso di implicazioni e di significati.
I soggetti dipendenti tendono tuttavia  a smussare i conflitti negando in se stessi gli impulsi ostili e l’istintivo  desiderio di ribellione che, se espresso , minaccerebbe la relazione. Tutti i tentativi agiti in tal senso  comportano infatti un insopportabile senso di colpa per  la paura  di avere distrutto  irreparabilmente il legame.  Ne consegue un più o meno immediato ricorso a comportamenti compensatori,  che nuovamente vanificano gli sforzi di modificare la relazione. 
Il lavoro di psicoterapia può aiutare la persona con aspetti di dipendenza nelle relazioni a svincolarsi dall'altro, a trovare una propria autonomia che gli consenta di  effettuare delle scelte affettive libere e fondate sulla reciprocità e simmetria.  In questo senso la possibilità di riconoscere in sé e di esprimere gli aspetti aggressivi  all'interno della relazione  senza il timore di perdere l'oggetto di amore , è significativa della capacità di riappropriarsi di quella energia pulsionale necessaria a portare avanti un cambiamento , recuperando la propria  autostima e la fiducia in sé stessi.
Un altro e più profondo obiettivo della psicoterapia è riconoscere e finalmente emanciparsi da quella “imago” originaria che ha sostenuto la riedizione della relazione perduta, e permesso il consolidamento di una proiezione fantasmatica sulla realtà alterandone i contorni e impedendo lo sviluppo della propria identità.

Ogni lunedì alle 18, in Via Vecchia Ognina 126 per parlarne insieme.
Prenotazione obbligatoria: 3470022382
dirosa.lilia@tiscali.it

lunedì 11 marzo 2013

Un lido in mezzo all’anima

 

“Come il nostro corpo reca in sé le tracce della sua evoluzione filogenetica,
così fa anche lo spirito. Non c’è quindi niente di strano  nell’ipotesi
che il linguaggio metaforico dei nostri sogni sia un relitto arcaico.”
C.G. Jung

 

                                                                                                                                                            Tre sogni

 
R. , a. 20

Sogno di essere in un lido sul mare. Sono con mia madre. Il lido è vuoto. Io gioco sull’acqua con una specie di surf. A tratti volo sull’acqua. In certi momenti ho paura di cadere, ma mi sento leggero. Poi mia madre mi chiama per tornare a casa.

 
B. , a 28

Sono in un lido, da sola. L’acqua è bassa e trasparente. Devo andare dall’altra parte, dove c’è un altro lido che non conosco. Mi trovo su una specie di ponte e sto cercando di capire come fare per passare dall’altra parte.

 
L., a 42                      

Sono in un lido, che però si trova in montagna. Infatti non vedo il mare anche se so che c’è. Devo andare dall’altra parte, un altro lido. Per raggiungerlo devo camminare sul fianco di questa montagna in un sentiero molto ripido. Ho paura e non so come fare. Mi tengo con le mani alle pareti e non vedo ciò che c’è giù in basso. Sul sentiero incontro una donna che mi dice che tutti ce la fanno: è solo questione di abitudine.

 
I sogni che ho riportato sono stati fatti da tre pazienti che ho seguito , nello stesso arco di tempo. Per ognuno, il sogno sembra dare un’indicazione sull’evoluzione del processo di cura . L’ultimo sogno, quello di L., pur essendo stato fatto nello stesso periodo, è tuttavia un sogno di inizio terapia, essendo  in quel momento il rapporto terapeutico più recente rispetto a quello degli altri due: ma a parte i toni più oscuri il messaggio sembra essere identico.  In tanti anni di esperienza, pur avendo riscontrato in pazienti diversi sogni similari, testimonianza di un processo individuativo  attivo a livello psichico, non mi è mai capitato di trovare sogni così simili e pressoché contemporanei  nei pazienti che stavo seguendo.
La cosa mi ha profondamente colpito pur avendo conoscenza di quanto le immagini della psiche siano potenti  e  di come siano parte di un unico lessico collettivo di cui tutti siamo in possesso. La contemporaneità di  tale comparsa  in soggetti pur così differenti ha suscitato in me il desiderio di indagare meglio sul senso della loro apparizione nella coscienza delle persone che stavo curando.

In modo molto sintetico, cercherò prima di tutto  di esporre la problematica individuale dei tre pazienti accennando brevemente alle loro storie.

 
R. anni 20

Lo incontro per la prima volta in ospedale, inviato dal medico di  P.S. dove era stato ricoverato per un attacco di panico. Era già accaduto altre volte.
Maggiore di due figli maschi di una famiglia modesta, R. è iscritto alla facoltà di ingegneria in seguito al completamento degli studi scientifici, dimostrando  anche al liceo capacità, impegno e serietà . Subito mi racconta della propria sofferenza a causa di una crisi familiare di cui si è fatto particolarmente carico, sperando di potere contribuire a risolverla.
E’ visibilmente stressato e preoccupato . L’espressione è triste. L’atteggiamento ansioso. Fisicamente dimostra molto meno dell’età che ha. Non ha avuto ancora esperienze sessuali. Il suo hobby preferito è il calcio. Riferisce l’inizio dei suoi disturbi in seguito alla morte della nonna.

 
B. anni 28

B. è una giovane architetto. Già prossima al matrimonio, viene lasciata dal suo fidanzato senza alcuna spiegazione sei mesi prima del nostro primo incontro. Insieme da circa otto anni, avevano condiviso la scelta di sposarsi, cominciando già i preparativi di rito, individuando il locale per la festa e partecipato a tutti la loro intenzione. Senza un apparente motivo, B. si trova dinnanzi alla decisione inflessibile  del fidanzato che in modo perentorio le comunica la fine della storia. Orgogliosa e altera, la giovane donna accetta quasi passivamente la determinazione del suo compagno che, fra l’altro, le lascia il compito di provvedere alla disdetta di tutto ciò che avevano organizzato.
Quando la incontro , dopo un periodo in cui  aveva provato a reagire da sola,  sento in lei bruciare la mortificazione, la perdita e il fallimento di tutto ciò in cui aveva creduto fino a quel momento. La strada su cui credeva di camminare tranquilla era sparita in un attimo,  lasciandola vuota, arrabbiata, senza alcuna fiducia nel domani.

 

 L., anni 42

L. è un avvocato , nubile, un fratello che vive lontano, una impresa familiare della quale si occupa insieme al padre.  Quando  mi telefona per il primo appuntamento mi comunica subito di avere bisogno di rivedere la propria vita . Già dalla voce avverto una sofferenza che quando ci vediamo si traduce immediatamente in pianto e nel profondo rammarico di avere perduto la sua migliore amica, il suo appoggio, il suo più inattaccabile riferimento. Pur essendo consapevole della propria autonomia  - vive da sola e ha una professione che esercita brillantemente - afferma di non sopportare  più di fare tutto da sola. Crede di avere rovinato tutti i suoi rapporti per via della propria
“pesantezza” e di non avere più alcuna opportunità di liberarsi dalla propria solitudine.

 
Da queste brevi note sui casi clinici cui mi riferisco è  evidente in ognuno di essi la presenza di una crisi affettiva  e la rottura di un certo equilibrio che in precedenza aveva dato  la sensazione della sicurezza e della stabilità. Il senso di solitudine verbalizzato da L.  era stato rappresentato da R. in alcuni sogni precedenti come “solitudine cosmica”: mi trovavo solo sotto un cielo enorme, e da B. come un destino  essendo ormai convinta dell’ “impossibilità di fidarsi” di chiunque altro . I tre sogni descritti ,  pezzi di un ben più vasto mosaico , sembrano alludere alla necessità di un passaggio che per ogni sognatore ha il significato preciso di lasciare una dimensione conosciuta per un’altra ignota, talora intravista, tal’altra inaccessibile.

In particolare per il giovane R. il sogno raccontato era stato preceduto da sogni molto oscuri dove lo stesso era immerso in uno spazio sconfinato  e vuoto senza alcuna struttura protettiva né alcun punto di riferimento. Da questa iniziale immagine, R. inizia a sognare prima una struttura metallica che  lo riparava dal cielo, poi l’interno di una immensa casa dalle pareti  trasparenti  abitata da molta gente, per poi giungere attraverso un preciso percorso onirico al sogno del Lido.

Mi sono chiesta cosa simbolicamente potesse  rappresentare il lido per i tre sognatori. Facendo lavorare la mia immaginazione, un lido è una struttura abitativa semplice ma precisa, certamente precaria, che si erige sul mare.

Se il mare, come è noto,  è simbolo dell’inconscio, regno delle emozioni, luogo del femminile e del materno, il lido sembra potere rappresentare  la prima  comparsa di un Io differenziato  che con le parti profonde comincia a confrontarsi.

 
Il lido come struttura primaria dell’Io

Lasciando andare l’intuito , il lido, con le cabine in fila somiglia in qualche modo ai villaggi primitivi,  costruiti dagli indigeni per ripararsi dalle onde del mare. Tradotto in termini simbolici sembra una prima costruzione dell’Io ancora molto legata al mondo indifferenziato delle acque che l’essere individuo comincia ad abitare. Vale la pena di notare che nel sogno del giovane il lido è ancora collegato alla figura della madre, ma da essa è già distaccato come se, dopo i sogni bui di un universo senza limiti nel quale si sentiva immerso, si delineassero finalmente  i confini non solo tra sé e la madre, ma anche tra aria-pensiero , acqua-emozioni e terra- materia sulla quale  la presenza materna si mostra non inglobante.  E’ il caso ancora di osservare che nel periodo di questo sogno, R. si è già svincolato da alcuni opprimenti compiti legati alla sofferenza familiare (della madre tradita , in particolare) e che stesse sperimentando nella realtà le proprie forze e le proprie capacità individuali  non soltanto connesse al dovere, ma anche al “piacere”.

Anche il sogno di B. , laddove il mare e la spiaggia erano stati elementi ricorrenti più volte nell’arco di circa due mesi, si manifesta nel momento in cui una nuova relazione sentimentale sta prendendo forma, facendo riferimento a un paesaggio interiore più rasserenato anche se ancora in elaborazione. B. ha dovuto con molta fatica abbandonare la visione sulla quale aveva edificato la sua vita, nella quale il matrimonio sembrava un porto certo e segnato da sempre. Rivedere il presente sotto una luce diversa, e orientarsi verso una struttura di pensiero nuova e ancora poco interiorizzata, le impone un passaggio non ancora completato ma, al momento del sogno, vissuto come confortante  malgrado la ferita alla fiducia resista ancora sotto l’apparente serenità che sembra avere recuperato.

Più oscuro è senz’altro il paesaggio interiore che si palesa nel sogno di L. In questo caso il lido non è sulla spiaggia, ma in montagna, da dove il mare non è visibile pur nella consapevolezza della sua presenza. Inevitabile in questo caso fare riferimento alla distanza tra un alto e un basso, simbolicamente espressione di un Io razionale poco disposto ad accogliere le istanze che vengono dal basso. Una cesura quindi tra intelletto e desiderio, tra io ed es, bene espresse dalla paura che la sognatrice manifesta nel sogno e nel suo attaccarsi alle pareti della montagna dove si trova in cammino verso l’altra parte del lido.  La comparsa di un donna sconosciuta , che può essere considerata come una parte di lei meno rigida e più disponibile al cambiamento, smorza i toni tragici di un sogno che lascia la paziente molto turbata. Anche in questo caso però il lido in montagna, metafora di una struttura mentale esageratamente razionale, sembra volere indicare la necessità di abbandonare  una modalità esistenziale non  più adeguata alla realtà del soggetto,  ai propri bisogni e  desideri rispetto ai quali la paziente sembra avere  posto una eccessiva distanza di sicurezza. E’ il caso di aggiungere che, al contrario,  le relazioni affettive di L. sono state  improntate ad una dimensione fusionale ancora infantile di dipendenza  nella quale l’io-adulto si smarrisce facilmente e per questo difensivamente interrotte  aggrappandosi alla  dimensione opposta della estrema  intellettualizzazione.

Tutti e tre i sognatori si trovano in definitiva in una fase di evoluzione del proprio percorso psichico dove la necessità di un dialogo interiore tra le parti ( espresse dall’immagine del mare-lido) costituisce  il significativo passaggio ad una nuova,  ancorchè sconosciuta,  dimensione.

Ho voluto riportare questi sogni, nella loro similarità, per la forza curativa che hanno portato nella conduzione della terapia segnalando alla coscienza del sognatore una mappa abbastanza precisa del cammino che stavano compiendo. Se il sogno è sempre considerato un ponte tra conscio e inconscio i tre sogni riportati ne rappresentano l’essenza. Senza pensare che l’ipotesi interpretativa secondo la quale mi sono mossa sia la più idonea a intendere ciò che stava avvenendo nella psiche dei tre pazienti, non c’è dubbio che il messaggio percepito faccia riferimento al percorso di cambiamento già in atto, al quale il sogno ha contribuito a fornire maggiori indicazioni.

La  presenza dello stesso motivo in casi individuali, come quelli che ho narrato. dimostra che la psiche umana è solo in parte unica e soggettiva e personale: per l’altra parte invece è collettiva e oggettiva. La coincidenza delle immagini e il ripetersi della stessa scena come nucleo centrale del sogno testimonia  la capacità dell’anima di attingere ad un vasto bagaglio di simboli  da sempre sedimentati nella storia dell’uomo per narrare le vicende che la attraversano.

domenica 3 marzo 2013

Il narcisismo nella società contemporanea

 
 
Queste storie non avvennero mai, ma sono sempre”.  

Cosi Sallustio descriveva il mito nel I secolo  avanti Cristo riferendosi alla sua eterna presenza in ogni epoca della storia dell’uomo.

Niente di più vero se pensiamo all’attualità del mito di Narciso nel mondo moderno dove  la  maniacale  considerazione  nei confronti di un sé grandioso  non finisce di manifestarsi  in ogni aspetto della  vita personale e collettiva .

Nel mito Narciso è un giovane superbo e bellissimo “condannato” dagli dei ad essere innamorato di sé stesso e a passare  la propria  vita ad ammirare  la propria immagine riflessa in uno specchio d’acqua. Indifferente e sprezzante delle offerte d’amore che gli altri gli manifestano , in particolare quella della ninfa Eco, finisce per rimanere prigioniero della propria immagine e alla fine  di morire  struggendosi della impossibilità di possederla .

Da questa leggenda, dalle molte versioni e qui esemplificata al massimo,  deriva l’attuale termine di narcisismo, usato da Freud nel 1914 per indicare quella fase dello sviluppo ( narcisismo primario)  in cui il bambino non ha ancora stabilito delle vere relazioni con il mondo esterno, rimanendo concentrato sulla soddisfazione dei propri bisogni . Questa disposizione affettiva,  che connota le prime fasi dello sviluppo, resiste  fondamentalmente nel narcisista  che , anche in fasi molto più avanzate , fa di sé stesso il principale oggetto di investimento affettivo. Il soggetto narcisistico è talmente preso da sé stesso da non avere maturato quella capacità di relazionarsi con l’altro in modo idoneo, né di provare empatia, o di mostrare interesse per l’Altro se non nella misura in cui  sia connesso al proprio personale interesse.

Nella psicopatologia si parla di disturbo narcisistico della personalità quando nell’individuo si riscontra:

1.     Senso grandioso del sé e  senso esagerato della propria importanza

2.     Fantasie di successo illimitato, di potere, di effetto sugli altri

3.     Richiesta di ammirazione eccessiva rispetto al normale o al proprio reale valore

4.     La convinzione che gli altri  debbano soddisfare le proprie  aspettative

5.     Approfitta degli altri per raggiungere i propri scopi

6.     Non ha sentimenti , né prova empatia per gli altri

7.     Cerca sempre di attrarre l’attenzione in modo predatorio

Il problema di fondo del narcisista è l’incapacità di amare collegata ad una ferita originaria nelle relazioni affettive che ha alterato o bloccato il passaggio evolutivo dalla fase del  narcisismo primario al rapporto oggettuale. Il narcisista non ha ricevuto una adeguata educazione al sentimento ,   contro invece la grande attenzione prestata  all’immagine. Lo svuotamento dell’identità personale della capacità di sentire  riduce pertanto l’Io al suo mostrarsi, impoverendo il senso della  sua autenticità, dell’autostima e del valore personale,  ingigantendo l’ideale dell’Io verso cui è continuamente proiettato senza  mai raggiungerlo. Il culto dell’immagine pertanto è compensatoria del mortificante vuoto interiore che l’Io grandioso ha perpetrato a danno del vero Sé.

Alludendo al carattere individuale e collettivo di tale tratto della personalità, Lowen che è stato uno dei più appassionati studiosi del narcisismo, lo descrive come una condizione sia psicologica che culturale caratterizzata dall’ostinata negazione dei sentimenti da cui derivano desolanti rapporti manipolatori e inautentici.              
Senza volere addentrarmi in un’analisi sociopolitica del narcisismo mediatico oggi imperante nel quale più o meno  siamo tutti immersi, è evidente come il culto di un ideale dell’io irrealistico e molto distante da ciò che è effettivamente raggiungibile, porta gli altri a credere in una immagine fittizia e  manipolatoria   pur di ottenerne credito e sostegno. Entro questa cornice possiamo pure inserire il grande successo dei social network, dove l’individuo  decide di esporre agli altri l’ immagine di sé che più desidera,  mettendo  in scena  la propria vita privata, o almeno quella che decide di fornire . Dietro tutto ciò è attiva l’intenzione “grandiosa” di  apparire al mondo  affrancandosi  dalla silenziosa e nascosta dimensione privata in cui si vive.
Senza in alcun modo negare il valore   di questi strumenti, credo tuttavia che il  proliferare delle comunità virtuali  alimenti un costrutto narcisistico della personalità, soprattutto negli adolescenti che finiscono per vivere di più i rapporti  in rete che in casa propria, più abili ad esibire che a vivere le proprie emozioni.  In questa continua pubblicizzazione , ormai condivisa e considerata normale dalla odierna società, anche il termine narcisismo è un’aggettivazione del modo di essere contemporaneo che non produce nessun effetto, rimanendo un modo di dire ritualistico e svuotato di vero significato. Nell’attuale contesto inondato di immagini offriamo e scegliamo infatti quelle che ci gratificano di più o che corrispondono maggiormente alle nostre idealizzazioni, scartando nell’indifferenza o addirittura ignorando quelle che potrebbero  suscitare emozioni meno apprezzabili. Se rileggiamo i punti sopra riportati a proposito del disturbo narcisistico della personalità , ci accorgiamo  facilmente  che sono tratti ovunque rilevabili nella società odierna, sintomi  della sua malattia  e della sua  visione sempre più  distorta della realtà. In questo  aspetto si sostanzia  più che mai la psicopatologia del narcisista  che , non avendo una adeguata stima di sé,  si sente confermato e rassicurato solo nel riflesso che suscita negli altri, non tanto per instaurare delle vere relazioni affettive, ma per trarne ammirazione evitando il rischio del confronto e del fallimento che questo  potrebbe comportare.