domenica 18 novembre 2012

L'identità maschile e le sue trasformazioni


Voglio segnalare due film che ci raccontano la difficoltà di vivere i sentimenti  e, di contro, l’esaltazione del corpo e della sua potenza come strumento per difendersi dalla fragilità che la dimensione emotiva comporta.  In entrambi la scissione è raffigurata dalla relazione con una donna, ambedue portatrici  di una femminilità ferita  che, nel gioco degli opposti, aiutano il protagonista a svolgere un percorso di trasformazione della coscienza e della propria identità maschile.




Un sapore di ruggine e ossa , 2012 Jacques Audiard.

Siamo in Francia, sulla costa di Antibes. Un giovane uomo cammina accanto ad un bambino. Sono evidentemente soli e senza soldi, e il bambino ha fame. Lui ha una grande risorsa: un corpo solido e forte che usa senza scrupoli  per qualunque cosa  possa essere utile, dal fare soldi al dare piacere.

Alì non ha emozioni, non ha empatia : solo impellenze istintive, pulsioni e necessità personali.  A modo suo ama il suo bambino, ma non si cura dei suoi bisogni, non sa come educarlo e spesso è violento con lui. La madre è un argomento tabù: di lei si sa solo che non c’è.

Un incontro fortuito con una donna dopo una rissa nel locale notturno dove fa il buttafuori,  lo introduce  lentamente in una dimensione nuova . Stephanie è bella, sicura di sé, fa un lavoro che la diverte e la gratifica. Basta un attimo perché da questa condizione se ne trovi in un’altra, molto diversa, irreversibile.

E’ nella terribile e disperata menomazione in cui Stephanie si trova, che la semplicità istintiva e senza fronzoli di Alì riporta la donna a misurarsi di nuovo con la vita. Anche se la “disponibilità “ di Alì sembra quella di una macchina ben funzionante, il suo aiuto è sincero pur se molto diverso da ciò che Stephanie si attende. Il regista mette a nudo la diversità dei due personaggi, ne rivela la distanza , ma ne scopre i passaggi che li avvicinano lungo un processo che Alì compie senza consapevolezza ma che delinea l’uomo nuovo, capace di “sentire”.  E’ un’opera di trasmutazione : dal piombo in oro ,  dove la corporeità, sede degli aspetti più animaleschi, si assottiglia nella dimensione psichica. Un percorso di individuazione  che come già in Shame segue le vicissitudini di un grande male interiore, evitato, rimosso, fino all’inevitabile consegnarsi ad esso e da questo , forse, ad integrarlo nella coscienza.

 
Shame, 2011 Steve McQueen

 
Brandon è un uomo bello, attraente, che ha chiuso dietro una impenetrabile corazza la disponibilità ad aprirsi agli altri se non attraverso l’ ossessivo e meccanico godimento sessuale , che più che all’incontro mira alla liberazione da una tensione insopportabile.

In  questa dimensione emotivamente  fredda , come la casa che abita,  inaccessibile allo scambio e alla intimità dell’Anima, Brandon vive solitario,  ossessivamente dominato dalla necessità della performance sessuale , lo spazio mentale costantemente occupato dalla presenza reale o immaginaria  di amplessi bulimici quanto emotivamente vuoti ed anonimi.

 Riviste pornografiche, come  programmi interattivi,  cercano di riempire i vuoti di una mancanza interiore  cui non è data possibilità di esprimersi,  ma solo di esibirsi  davanti agli  ipotetici spettatori di un palcoscenico immenso e indifferente come quello di una metropoli.

L’incontro, disperatamente supplicato da una voce senza nome alla segreteria telefonica, si traduce in muto grido nella  sorella, il suo opposto: un femminile fragile e vulnerabile, costantemente in cerca di una carezza e di un coinvolgimento emotivo altrettanto pericoloso di quanto non sia la negazione e il rigetto del fratello , e  la cui vicinanza può solo generare in quest’ultimo una angoscia da cui è sempre più impossibile fuggire, ma solo rinforzarne le difese, ingigantirne le ossessioni. Sullo sfondo di una originaria ferita, di cui entrambi sono stati protagonisti, Sissi flagella il proprio corpo tanto quanto Brandon ossessivamente se ne prende  cura, pur rimanendo entrambi vittime di un’ unica e certamente disastrosa esperienza affettiva. Sulle note ridondanti dei Concerti branderburghesi  di S.Bach, la tragedia di Brandon cresce come i suoi tentativi di scongiurarla, riportandone sul volto sempre più segnato l’implacabile tormento.

Nell’ultima scena, quando il rituale ossessivo ritorna nelle fattezze di una nuova e seducente avventura erotica, gli occhi infossati del protagonista ne scorgono già il precipizio che dietro l’impulso a seguirla, lo aspetta.

 

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