lunedì 15 dicembre 2014

Storia di Ester

Il rischio delle relazioni

Ester è una donna di 36 anni, separata e con due figli. E’ bruna, con lunghi capelli neri e carnagione olivastra che si illumina quando sorride. Gli occhi neri e quasi sempre cerchiati svelano un grande tristezza, ma sono vivaci e acuti, a tratti quasi imperiosi.
Quando la incontro per la prima volta, siamo in ospedale. Mi viene inviata da un collega neuropsichiatra che nel suo disturbo di allora, le vertigini, aveva individuato una componente psicologica da non sottovalutare.
Da quel giorno ha avuto inizio la nostra terapia e un rapporto di solida fiducia reciproca.
Il racconto che segue non pretende di ripercorrerne tutte le tappe, ma di evidenziare i passaggi  piu’ salienti.

Minore di tre sorelle, “preferita” del padre fino all’età di 13 anni, vede da quest’ultimo un mutamento  nei suoi confronti quando, ammalato e forse consapevole della prossima fine, rivolge maggiori attenzioni alla sorella più grande. Da lì a poco , il padre muore e Ester si sente abbandonata per sempre. Già adolescente si lega ad un uomo più grande di lei che sposerà intorno ai 20 anni e con il quale metterà al mondo due figli; da quest’uomo è oggi  separata di fatto. Con la madre, ancora vivente, e le due sorelle, una delle quali vive fuori dall’Italia, mantiene rapporti freddi e distanti  evitando qualunque concessione ai sentimenti, ma attenta ai doveri che i rapporti familiari esigono.

In modo estremamente sintetico ho cercato di riassumere quello che, secondo me, è il nucleo traumatico della storia di Ester, quello che ha plasmato il suo rapporto con il mondo esterno e alimentato il  conflitto tra la sua componente razionale, molto scrupolosa e severa, e le sue parti emotive, fragili e vulnerabili. Il risultato è una chiusura totale tra l’una e l’altra , un atteggiamento di assoluta diffidenza verso gli altri, massimo controllo delle proprie emozioni da non lasciare trasparire neanche a sé stessa pena il tracollo completo del finto equilibrio entro cui ha cercato di ritirarsi evitando il contatto con gli altri, e quindi la possibile sofferenza. Una convinzione ferrea e dolorosa, sottende l’assetto che Ester si è data: quella di non potere essere amata. Eppure, fin dalle prime volte, Ester manifesta il desiderio di essere ascoltata, di essere aiutata a capirsi, dimostrando apertamente di “fidarsi” di me.
Se la convinzione di fondo che Ester ha interiorizzato è quella del “non potere essere amata”, c’è n’è un’altra, ancora più rigida e resistente, con la quale motivare la prima: quella di essere “cattiva” e per questo di non meritare l’amore. Eppure nel tempo, ha fatto molti sforzi per compiacere gli altri, per avere conferme circa la sua “buona” identità: conferme che in un modo o nell’altro non sono mai state capaci di sanare le ferite ma , al contrario , di aumentare la distanza tra il suo essere autentico e la rigida maschera che ha indossato: quella della gentilezza, dell’educazione, del rispetto e della perfezione. Sotto questa veste Ester ha nascosto la sua rabbia, la sua delusione, la sua solitudine: sentimenti che quando viene in terapia non ce la fanno più a stare in silenzio, ma interiormente cominciano a “urlare”. E’ il periodo di molti sogni con grandi tavole vuote: nessun cibo, nessun commensale. Spesso tavole di marmo, fredde, di tanto in tanto vestite di tovaglie, ma sempre senza cibi . Con l’inizio della terapia, inizia per lei una nuova esperienza: si iscrive su Fb. Il desiderio di contatto, di comunicazione, di amicizia trova attraverso la pagina scarna di informazioni un nuovo tentativo di “entrare” nel mondo. Non manca molto che tra i pochissimi amici che entrano a far parte del suo giro, un uomo maturo si fa largo tra gli altri. Attraverso la chat , gli scambi, e solo successivamente gli sms, la conoscenza tra i due si intensifica e si approfondisce, diventando un’abitudine costante nella vita solitaria di Ester che, la sera, al ritorno dal lavoro, trova nello schermo del computer qualcosa che rimette in moto il desiderio, la speranza, la vita. I figli notano questo cambiamento nella vita della madre, non senza un certo disagio e curiosità, e senza che questo modifichi l’ordinata gestione dell’andamento familiare. Solo trovano la madre ancora più distante, più chiusa, e più appartata. La storia , virtuale per un bel po’ di tempo, procede a rilento, malgrado Ester cerchi di incontrare quest’uomo strano, schivo,  investendo su questa relazione molta determinazione, ma anche aggressività , se pure tenuta a bada per paura di rovinare il rapporto. Dall’altro lato, al contrario, ci sono molte resistenze e frenate, cosa che mi suscita molte perplessità delle quali parlo con lei  apertamente. Per molto tempo infatti, in terapia, ho creduto di dovere scoraggiare questa storia che continuava a mortificare il desiderio della paziente con il continuo rimando. Ester invece ha continuato a  difendere questa storia strana, attaccandosi morbosamente a lui, a non volere a nessun costo “farla morire”.  Più tardi avrei pensato che forse era proprio la sua irraggiungibilità a mantenere questa relazione così potentemente presente nella  vita di Ester : in certo qual  modo sembrava essere  la riedizione del suo rapporto con il padre, il tentativo di resuscitarlo. Il desiderio comincia ad “alimentare” anche i sogni. Le tavole, cominciano a riempirsi di vivande, e talora ad essere in festa, benchè sempre senza commensali. Ester continua a vestire come sempre:  grigio e nero i suoi colori,  sempre con molta raffinatezza. Adesso compare un po’ di rosso qualche volta: sulle unghie e su un piccolo braccialetto al polso.
Il desiderio di incontrare quell’uomo che si nasconde, che si nega, che rimanda, riempie per mesi le nostre sedute. Poi un giorno, finalmente accade.

Succede molti mesi dopo l’inizio della storia. Ester “assaggia” brevemente la realtà corporea di quest’uomo: le piace, ma il tormento prende ora un’altra forma.
Non è la distanza, o il poco tempo a disposizione che la travaglia, ma la relazione in sé. La paura di fare del male , e intanto farsi male; l’incredulità di potere accettare l’amore che  quest’uomo manifesta, la tentazione di tornare indietro, di fuggire, di non potere sopportare le possibili conseguenze . E’ il momento più difficile. Ester non riesce a tollerare gli aspetti emotivi della relazione. Piuttosto che “nutrirsi” di tutti i sentimenti che ogni rapporto mette in moto, li respinge, li rifiuta. Non sa come fare: soprattutto ha paura di fare del male a lui, di farlo soffrire. Si sente in colpa : non può essere amata, non se ne sente degna.
E intanto dimagrisce sempre più. Come se il “cibo” affettivo che le viene offerto fosse dannoso per lei. E’lì, a disposizione, ma non lo prende, non se ne nutre: piuttosto continua a respingerlo e a rigettarlo.

Sembra  proprio che, paradossalmente,  l’avere desiderato qualcosa che non c’era , o che  credeva di non potere avere, servisse a mantenere lo stato in cui si era abituata , proteggendosi da eventuali rischi e giustificando la propria frustrazione. La nuova relazione invece la costringe a mettersi in gioco, cosa a cui ha rinunziato da un pezzo sentendosi inadeguata e incapace di sostenerne i costi. 

Nel frattempo sogna di avere le gambe troppo grosse.

Spostandoci un po’, vorrei parlare di questa paziente all’interno degli altri contesti relazionali di cui fa parte. Quello che sembra occupare il posto più importante per lei è quello lavorativo. Ester lavora presso un ditta di abbigliamento da molti anni. E’ molto brava nel consigliare  gli acquisti giusti per le clienti che , infatti, vedono in lei un sicuro  punto di riferimento. Le cose si complicano all’interno dei rapporti con i colleghi e con il datore di lavoro. Com’è nel suo stile, Ester adempie in modo scrupoloso e corretto ai suoi compiti, ma il suo atteggiamento chiuso e riservato non sfugge ai colleghi che in lei vedono  poca solidarietà, approfittando di ogni occasione per sottolinearlo.

Un’altra e non certo meno importante area è quella dei rapporti familiari, in particolare con le sorelle . Con esse Ester ha condiviso l’esperienza della crescita e della definizione della propria individualità che, dopo la morte del padre, si è enormemente complicata per via della “competizione” sorta tra esse a proposito dell’amore e delle  preferenze che il sistema familiare sembrava accordare apparentemente all’una più che all’altra. Ester risolve la rivalità negandola e sottraendosi al conflitto chiudendosi in un altezzoso riserbo, entro il quale maschera la ferita e il dolore che ne deriva: quello di non essere più l’unica e prediletta, come aveva fino a un certo punto ritenuto di essere agli occhi del Padre. Malgrado la sofferenza e la gelosia che l’avvicinamento di quest’ultimo a una delle due sorelle in particolare le procura, Ester non chiede, non compete, si ritira in una ostinata quanto ostentata indifferenza, cercando  di darsi pace  giustificando il comportamento paterno attraverso una giusta  causa: il non essere più meritevole dell’amore paterno per una propria  presunta, quanto inafferrabile colpa.
Nel corso della terapia i sentimenti verso la sorella mutano e si alternano in relazione alla elaborazione del conflitto originario e della rivalità che lo sottende. Eppure da parte di entrambe  è manifesto il desiderio di tenere vivo il filo della relazione, anche se in modo convenzionale e distaccato, soprattutto da parte della paziente che interpreta con diffidenza ogni tentativo di avvicinamento da parte della sorella. E’ simbolicamente significativo in tal senso il loro scambio di doni, ai quali tengono entrambe per tutte quelle occasioni che lo richiedono ( Natale, compleanni, ricorrenze varie) ma che, pur dedicandovi particolare cura ed attenzione, non “funzionano” mai. Come se il dono, simbolo del dare qualcosa di sé all’altro, fosse tra le due inevitabilmente “intaccato” e quindi sbagliato o, comunque, non funzionale (non funzionante) a un vero scambio. Se il donare fa riferimento ad un legame affettivo che dal dono viene rappresentato e sostenuto, tra le due sorelle questo gesto non è mai puro, ma “inquinato” da qualcosa che lo nullifica o lo rende “impraticabile”.

Durante la terapia, tuttavia, questa relazione si fa gradualmente più vicina. Anche se Ester interpreta gli avvicinamenti della sorella in modo sempre alquanto negativo, tuttavia qualcosa cambia anche in lei e , dopo molti anni, la invita insieme alla madre al suo compleanno per un pranzo tutti insieme. La tavola, simbolo di nutrimento e convivialità, torna ad essere luogo di incontro familiare (ci sono anche i figli) e ad alimentare in modo circolare la relazione dalla quale  tutti sono legati. E’ un momento di grande significatività, un ritorno, un ri-abbraccio. La festa di compleanno si conclude realmente con un lungo e commosso abbraccio tra le due: per la prima volta da quando siamo in terapia,  Ester si abbandona ai sentimenti.
Emozioni e sentimenti continuano ad essere per lei fonte di ansie, di dubbi e di travaglio per lungo tempo ancora. Malgrado abbia accettato di entrare nel gioco delle relazioni, le sue paure e la sua intransigenza le rendono  sempre molto contraddittorie e ambivalenti, alimentando il desiderio di fuggirle , di abbandonarle.
Educata a un senso estremo del dovere e del rispetto, Ester non trova giustificazione agli eccessi emotivi, colpendoli duramente se questi provengono dagli altri, ma ancora di più rimproverandosi severamente per  quelli che da lei nascono. I sogni continuano a rappresentare questa difficoltà attraverso tavole da pranzo (simbolo di relazione, di convivialità e di amicizia) e grandi letti matrimoniali, luoghi di intimità e di incontro . Attorno, vi ruotano e si alternano le figure del suo presente e del suo passato.

Molto lentamente lo spazio intorno si allarga. La storia sentimentale si stabilizza e, malgrado i dubbi , Ester comincia a fidarsi e a lasciarsi amare . Più problematici rimangono i rapporti sul lavoro, dove la propria correttezza non ammette errori e quelli con le sorelle, dove l’antica e mai risolta rivalità continua a rendere difficile la comunicazione.

 Due sogni rappresentano in quel periodo la ricerca  della paziente:

Sogno di essere nel posteggio di un grande centro commerciale semivuoto. Mi aggiro a piedi in cerca del mio posto. Ma non so qual è. Mi risveglio angosciata.

Mi trovo in un deserto, sono sola. Dall’altra parte c’è lui con il suo cane, ma è indistinguibile dal resto, come se anche lui facesse parte del deserto di sabbia. Devo raggiungerlo, non so in che modo. Vedo una specie di piazzola recintata, sempre di sabbia: non so se passare di là. In ogni caso riesco a raggiungerlo.

 I due sogni sembrano descrivere ancora una volta la difficolta’ a trovare il modo piu’ adeguato per raggiungere l’Altro. Il deserto sembra sostituire le tavole vuote di un tempo, ma mettono in evidenza l’elemento dinamico costituito dal desiderio di farcela, di non soggiacere al vuoto.
E’ un periodo molto fertile dal punto di vista onirico. Sogni che ci aiuteranno nel corso della terapia a raggiungere i punti piu’ oscuri della vita interiore della paziente, delle sue conflittualita’, delle sue ferite narcisistiche e delle sue pretese di riparazione.
Lentamente anche i sogni configurano scenari diversi, non piu’ stanze o spazi vuoti, ne’ tavole desolate e tristi, ma tavole in festa, commensali, gente piu’ o meno conosciuta  con cui stare insieme.
E’ l’ingresso in un’altra fase della terapia, l’ultima, nella quale Ester raggiunge la consapevolezza di non potere piu’ pretendere che il mondo che la circonda aderisca alle proprie attese e ai propri desideri, ma che e’ necessario uno spostamento della propria prospettiva in direzione di una visione piu’ realistica della vita affettiva e sociale nella quale e’ immersa.  Ma, piu’ che altro, Ester comincia ad accettare chi e’ lei , l’Altro in lei , le sue asperita’ e le sue intransigenze , riconoscendo in esse la propria parte di responsabilità , ammettendola senza colpevolizzarla, accettandola senza per questo sentirsi “cattiva”. E’ la rinuncia alla “perfezione’,  e anche il preludio alla conclusione del nostro cammino  dopo due anni di incontri puntuali  e di profonda elaborazione dei contenuti emersi durante la terapia.
Ester ha acquisito la capacita’ di dialogare con se’ stessa e con gli altri, di accettare il “rischio” che ogni relazione comporta, comprendendo che in ognuna di esse si compendiano attese e delusioni, conflitti e allontanamenti, ma anche gioie e riconoscimenti. Capisce che e’ possibile fidarsi,  poiche’ e’ riuscita in tutti questi mesi a farlo con me,  senza sentirsi mai respinta, mai abbandonata,  anche quando  i miei commenti rilevavano le sue Ombre.
Cosi’ , dopo un sogno in cui salutava una donna apparentemente sconosciuta, Ester mi dice che si sente pronta a continuare da sola il suo percorso, a sentire dentro le mie parole, ad avermi interiorizzata.

E’ Natale. Ester come  ogni anno mi porta un piccolo dono significativo. E’ un cuore con dentro delle pantofole per gli ospiti.  Forse allude alla ritrovata disponibilita’ ad aprire  la porta della sua casa interiore, a fare entrare l’Altro dentro di se’ , ad accettare l’estraneo, come in  tutti questi mesi  la terapia ha cercato di facilitare e favorire.  Forse un modo per restituirmi il regalo che le ho fatto.  
Chissa’!....

Ci salutiamo come due grandi, intime amiche.

 
N.B. La pubblicazione del caso clinico che ho raccontato e’ stato autorizzato dalla paziente stessa  che ha scelto  il nome di Ester al posto del suo vero nome. Anche questo forse non a caso.

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