Ester è una donna di 36 anni, separata e con due
figli. E’ bruna, con lunghi capelli neri e carnagione olivastra che si illumina
quando sorride. Gli occhi neri e quasi sempre cerchiati svelano un grande
tristezza, ma sono vivaci e acuti, a tratti quasi imperiosi.
Quando la incontro per la prima volta, siamo in
ospedale. Mi viene inviata da un collega neuropsichiatra che nel suo disturbo
di allora, le vertigini, aveva individuato una componente psicologica da non
sottovalutare.
Da quel giorno ha avuto inizio la nostra terapia e un
rapporto di solida fiducia reciproca.
Il racconto che segue non pretende di ripercorrerne
tutte le tappe, ma di evidenziare i passaggi piu’ salienti.
Minore di
tre sorelle, “preferita” del padre fino all’età di 13 anni, vede da quest’ultimo
un mutamento nei suoi confronti quando,
ammalato e forse consapevole della prossima fine, rivolge maggiori attenzioni
alla sorella più grande. Da lì a poco , il padre muore e Ester si sente abbandonata
per sempre. Già adolescente si lega ad un uomo più grande di lei che sposerà
intorno ai 20 anni e con il quale metterà al mondo due figli; da quest’uomo
è oggi separata di fatto. Con la madre,
ancora vivente, e le due sorelle, una delle quali vive fuori dall’Italia, mantiene
rapporti freddi e distanti evitando
qualunque concessione ai sentimenti, ma attenta ai doveri che i rapporti
familiari esigono.
In modo estremamente sintetico ho cercato di
riassumere quello che, secondo me, è il nucleo traumatico della storia di Ester,
quello che ha plasmato il suo rapporto con il mondo esterno e alimentato il conflitto tra la sua componente razionale,
molto scrupolosa e severa, e le sue parti emotive, fragili e vulnerabili. Il
risultato è una chiusura totale tra l’una e l’altra , un atteggiamento di
assoluta diffidenza verso gli altri, massimo controllo delle proprie emozioni
da non lasciare trasparire neanche a sé stessa pena il tracollo completo del
finto equilibrio entro cui ha cercato di ritirarsi evitando il contatto con gli
altri, e quindi la possibile sofferenza. Una convinzione ferrea e dolorosa,
sottende l’assetto che Ester si è data: quella
di non potere essere amata. Eppure, fin dalle prime volte, Ester manifesta
il desiderio di essere ascoltata, di essere aiutata a capirsi, dimostrando apertamente di “fidarsi” di me.
Se la convinzione di fondo che Ester ha interiorizzato
è quella del “non potere essere amata”, c’è n’è un’altra, ancora più rigida e
resistente, con la quale motivare la prima: quella di essere “cattiva” e per
questo di non meritare l’amore. Eppure nel tempo, ha fatto molti sforzi per
compiacere gli altri, per avere conferme circa la sua “buona” identità:
conferme che in un modo o nell’altro non sono mai state capaci di sanare le
ferite ma , al contrario , di aumentare la distanza tra il suo essere autentico
e la rigida maschera che ha indossato: quella della gentilezza,
dell’educazione, del rispetto e della perfezione.
Sotto questa veste Ester ha nascosto la sua rabbia, la sua delusione, la sua
solitudine: sentimenti che quando viene in terapia non ce la fanno più a stare
in silenzio, ma interiormente cominciano a “urlare”. E’ il periodo di molti
sogni con grandi tavole vuote: nessun cibo, nessun commensale. Spesso tavole di
marmo, fredde, di tanto in tanto vestite di tovaglie, ma sempre senza cibi .
Con l’inizio della terapia, inizia per lei una nuova esperienza: si iscrive su
Fb. Il desiderio di contatto, di comunicazione, di amicizia trova attraverso la
pagina scarna di informazioni un nuovo tentativo di “entrare” nel mondo. Non
manca molto che tra i pochissimi amici che entrano a far parte del suo giro, un
uomo maturo si fa largo tra gli altri. Attraverso la chat , gli scambi, e solo
successivamente gli sms, la conoscenza tra i due si intensifica e si
approfondisce, diventando un’abitudine costante nella vita solitaria di Ester
che, la sera, al ritorno dal lavoro, trova nello schermo del computer qualcosa
che rimette in moto il desiderio, la speranza, la vita. I figli notano questo
cambiamento nella vita della madre, non senza un certo disagio e curiosità, e
senza che questo modifichi l’ordinata gestione dell’andamento familiare. Solo
trovano la madre ancora più distante, più chiusa, e più appartata. La storia ,
virtuale per un bel po’ di tempo, procede a rilento, malgrado Ester cerchi di
incontrare quest’uomo strano, schivo, investendo su questa relazione molta
determinazione, ma anche aggressività , se pure tenuta a bada per paura di
rovinare il rapporto. Dall’altro lato, al contrario, ci sono molte resistenze e
frenate, cosa che mi suscita molte perplessità delle quali parlo con lei apertamente. Per molto tempo infatti, in
terapia, ho creduto di dovere scoraggiare questa storia che continuava a
mortificare il desiderio della paziente con il continuo rimando. Ester invece
ha continuato a difendere questa storia
strana, attaccandosi morbosamente a lui, a non volere a nessun costo “farla
morire”. Più tardi avrei pensato che
forse era proprio la sua irraggiungibilità a mantenere questa relazione così
potentemente presente nella vita di
Ester : in certo qual modo sembrava
essere la riedizione del suo rapporto
con il padre, il tentativo di resuscitarlo. Il desiderio comincia ad
“alimentare” anche i sogni. Le tavole, cominciano a riempirsi di vivande, e
talora ad essere in festa, benchè sempre senza commensali. Ester continua a
vestire come sempre: grigio e nero i
suoi colori, sempre con molta
raffinatezza. Adesso compare un po’ di rosso qualche volta: sulle unghie e su
un piccolo braccialetto al polso.
Il desiderio di incontrare quell’uomo che si nasconde, che si nega, che rimanda, riempie per mesi le nostre sedute. Poi un giorno, finalmente accade.
Il desiderio di incontrare quell’uomo che si nasconde, che si nega, che rimanda, riempie per mesi le nostre sedute. Poi un giorno, finalmente accade.
Succede molti mesi dopo l’inizio della storia. Ester
“assaggia” brevemente la realtà corporea di quest’uomo: le piace, ma il
tormento prende ora un’altra forma.
Non è la distanza, o il poco tempo a disposizione che la travaglia, ma la relazione in sé. La paura di fare del male , e intanto farsi male; l’incredulità di potere accettare l’amore che quest’uomo manifesta, la tentazione di tornare indietro, di fuggire, di non potere sopportare le possibili conseguenze . E’ il momento più difficile. Ester non riesce a tollerare gli aspetti emotivi della relazione. Piuttosto che “nutrirsi” di tutti i sentimenti che ogni rapporto mette in moto, li respinge, li rifiuta. Non sa come fare: soprattutto ha paura di fare del male a lui, di farlo soffrire. Si sente in colpa : non può essere amata, non se ne sente degna.
Non è la distanza, o il poco tempo a disposizione che la travaglia, ma la relazione in sé. La paura di fare del male , e intanto farsi male; l’incredulità di potere accettare l’amore che quest’uomo manifesta, la tentazione di tornare indietro, di fuggire, di non potere sopportare le possibili conseguenze . E’ il momento più difficile. Ester non riesce a tollerare gli aspetti emotivi della relazione. Piuttosto che “nutrirsi” di tutti i sentimenti che ogni rapporto mette in moto, li respinge, li rifiuta. Non sa come fare: soprattutto ha paura di fare del male a lui, di farlo soffrire. Si sente in colpa : non può essere amata, non se ne sente degna.
E intanto dimagrisce sempre più. Come se il “cibo”
affettivo che le viene offerto fosse dannoso per lei. E’lì, a disposizione, ma
non lo prende, non se ne nutre: piuttosto continua a respingerlo e a rigettarlo.
Sembra proprio che, paradossalmente, l’avere desiderato qualcosa che non c’era , o
che credeva di non potere avere,
servisse a mantenere lo stato in cui si era abituata , proteggendosi da
eventuali rischi e giustificando la propria frustrazione. La nuova relazione invece
la costringe a mettersi in gioco, cosa a cui ha rinunziato da un pezzo
sentendosi inadeguata e incapace di sostenerne i costi.
Nel
frattempo sogna di avere le gambe troppo grosse.
Spostandoci un po’, vorrei parlare di questa paziente
all’interno degli altri contesti relazionali di cui fa parte. Quello che sembra
occupare il posto più importante per lei è quello lavorativo. Ester lavora
presso un ditta di abbigliamento da molti anni. E’ molto brava nel
consigliare gli acquisti giusti per le
clienti che , infatti, vedono in lei un sicuro
punto di riferimento. Le cose si complicano all’interno dei rapporti con
i colleghi e con il datore di lavoro. Com’è nel suo stile, Ester adempie in
modo scrupoloso e corretto ai suoi compiti, ma il suo atteggiamento chiuso e
riservato non sfugge ai colleghi che in lei vedono poca solidarietà, approfittando di ogni
occasione per sottolinearlo.
Un’altra e non certo meno importante area è quella dei
rapporti familiari, in particolare con le sorelle . Con esse Ester ha condiviso
l’esperienza della crescita e della definizione della propria individualità
che, dopo la morte del padre, si è enormemente complicata per via della
“competizione” sorta tra esse a proposito dell’amore e delle preferenze che il sistema familiare
sembrava accordare apparentemente all’una più che all’altra. Ester risolve la rivalità
negandola e sottraendosi al conflitto chiudendosi in un altezzoso riserbo, entro il
quale maschera la ferita e il dolore che ne deriva: quello di non essere più
l’unica e prediletta, come aveva fino a un certo punto ritenuto di essere agli
occhi del Padre. Malgrado la sofferenza e la gelosia che l’avvicinamento di
quest’ultimo a una delle due sorelle in particolare le procura, Ester non
chiede, non compete, si ritira in una ostinata quanto ostentata indifferenza,
cercando di darsi pace giustificando il comportamento paterno
attraverso una giusta causa: il non essere più meritevole dell’amore
paterno per una propria presunta, quanto
inafferrabile colpa.
Nel corso della terapia i sentimenti verso la sorella
mutano e si alternano in relazione alla elaborazione del conflitto originario e
della rivalità che lo sottende. Eppure da parte di entrambe è manifesto il desiderio di tenere vivo il
filo della relazione, anche se in modo convenzionale e distaccato, soprattutto
da parte della paziente che interpreta con diffidenza ogni tentativo di
avvicinamento da parte della sorella. E’ simbolicamente significativo in tal
senso il loro scambio di doni, ai quali tengono entrambe per tutte quelle
occasioni che lo richiedono ( Natale, compleanni, ricorrenze varie) ma che, pur
dedicandovi particolare cura ed attenzione, non “funzionano” mai. Come se il
dono, simbolo del dare qualcosa di sé all’altro, fosse tra le due
inevitabilmente “intaccato” e quindi sbagliato o, comunque, non funzionale (non
funzionante) a un vero scambio. Se il donare fa riferimento ad un legame
affettivo che dal dono viene rappresentato e sostenuto, tra le due sorelle
questo gesto non è mai puro, ma “inquinato” da qualcosa che lo nullifica o lo
rende “impraticabile”.
Durante la terapia, tuttavia, questa relazione si fa
gradualmente più vicina. Anche se Ester interpreta gli avvicinamenti della
sorella in modo sempre alquanto negativo, tuttavia qualcosa cambia anche in lei
e , dopo molti anni, la invita insieme alla madre al suo compleanno per un
pranzo tutti insieme. La tavola, simbolo di nutrimento e convivialità, torna ad
essere luogo di incontro familiare (ci sono anche i figli) e ad alimentare in
modo circolare la relazione dalla quale
tutti sono legati. E’ un momento di grande significatività, un ritorno,
un ri-abbraccio. La festa di compleanno si conclude realmente con un lungo e
commosso abbraccio tra le due: per la prima volta da quando siamo in terapia, Ester si abbandona ai sentimenti.
Emozioni e sentimenti continuano ad essere per lei
fonte di ansie, di dubbi e di travaglio per lungo tempo ancora. Malgrado abbia
accettato di entrare nel gioco delle relazioni, le sue paure e la sua
intransigenza le rendono sempre molto
contraddittorie e ambivalenti, alimentando il desiderio di fuggirle , di
abbandonarle.
Educata a un senso estremo del dovere e del rispetto, Ester
non trova giustificazione agli eccessi emotivi, colpendoli duramente se questi
provengono dagli altri, ma ancora di più rimproverandosi severamente per quelli che da lei nascono. I sogni continuano
a rappresentare questa difficoltà attraverso tavole da pranzo (simbolo di
relazione, di convivialità e di amicizia) e grandi letti matrimoniali, luoghi
di intimità e di incontro . Attorno, vi ruotano e si alternano le figure del suo
presente e del suo passato.
Molto lentamente lo spazio intorno si allarga. La
storia sentimentale si stabilizza e, malgrado i dubbi , Ester comincia a
fidarsi e a lasciarsi amare . Più problematici rimangono i rapporti sul lavoro,
dove la propria correttezza non ammette errori e quelli con le sorelle, dove
l’antica e mai risolta rivalità continua a rendere difficile la comunicazione.
Sogno di
essere nel posteggio di un grande centro commerciale semivuoto. Mi aggiro a
piedi in cerca del mio posto. Ma non so qual è. Mi risveglio angosciata.
Mi trovo in
un deserto, sono sola. Dall’altra parte c’è lui con il suo cane, ma è
indistinguibile dal resto, come se anche lui facesse parte del deserto di
sabbia. Devo raggiungerlo, non so in che modo. Vedo una specie di piazzola
recintata, sempre di sabbia: non so se passare di là. In ogni caso riesco a
raggiungerlo.
I due sogni sembrano descrivere ancora una volta la
difficolta’ a trovare il modo piu’ adeguato per raggiungere l’Altro. Il deserto
sembra sostituire le tavole vuote di un tempo, ma mettono in evidenza
l’elemento dinamico costituito dal desiderio
di farcela, di non soggiacere al vuoto.
E’ un periodo molto fertile dal punto di vista onirico.
Sogni che ci aiuteranno nel corso della terapia a raggiungere i punti piu’
oscuri della vita interiore della paziente, delle sue conflittualita’, delle
sue ferite narcisistiche e delle sue pretese di riparazione.
Lentamente anche i sogni configurano scenari diversi,
non piu’ stanze o spazi vuoti, ne’ tavole desolate e tristi, ma tavole in
festa, commensali, gente piu’ o meno conosciuta con cui stare
insieme.
E’ l’ingresso in un’altra fase della terapia,
l’ultima, nella quale Ester raggiunge la consapevolezza di non potere piu’ pretendere che il mondo che la circonda
aderisca alle proprie attese e ai propri desideri, ma che e’ necessario uno spostamento della propria prospettiva
in direzione di una visione piu’ realistica della vita affettiva e sociale
nella quale e’ immersa. Ma, piu’ che
altro, Ester comincia ad accettare chi e’ lei , l’Altro in lei , le sue
asperita’ e le sue intransigenze , riconoscendo in esse la propria parte di
responsabilità , ammettendola senza colpevolizzarla, accettandola senza per
questo sentirsi “cattiva”. E’ la rinuncia alla “perfezione’, e anche il preludio alla conclusione del
nostro cammino dopo due anni di incontri
puntuali e di profonda elaborazione dei
contenuti emersi durante la terapia.
Ester ha acquisito la capacita’ di dialogare con se’
stessa e con gli altri, di accettare il “rischio” che ogni relazione comporta,
comprendendo che in ognuna di esse si compendiano attese e delusioni, conflitti
e allontanamenti, ma anche gioie e riconoscimenti. Capisce che e’ possibile
fidarsi, poiche’ e’ riuscita in tutti
questi mesi a farlo con me, senza
sentirsi mai respinta, mai abbandonata, anche quando
i miei commenti rilevavano le sue Ombre.
Cosi’ , dopo un sogno in cui salutava una donna apparentemente
sconosciuta, Ester mi dice che si sente pronta a continuare da sola il suo
percorso, a sentire dentro le mie parole, ad avermi interiorizzata.
E’ Natale. Ester come
ogni anno mi porta un piccolo dono significativo. E’ un cuore con dentro
delle pantofole per gli ospiti. Forse
allude alla ritrovata disponibilita’ ad aprire la porta della
sua casa interiore, a fare entrare l’Altro dentro di se’ , ad accettare l’estraneo, come in tutti questi mesi la terapia ha cercato di facilitare e
favorire. Forse un modo per restituirmi
il regalo che le ho fatto.
Chissa’!....
Ci salutiamo come due grandi, intime amiche.
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